Le indagini confermano ancora una volta che il modello ispiratore delle mafie è “sempre meno legato a eclatanti manifestazioni di violenza ed è, invece, rivolto verso l’infiltrazione economico-finanziaria”. Il rischio è che, da Cosa Nostra alla ‘ndragheta, i sodalizi “possano perfezionare quella strategia di infiltrazione del tessuto economico in vista dei possibili finanziamenti pubblici connessi al Pnrr“. È l’avvertimento che arriva dalla Dia nella relazione al Parlamento per il secondo semestre 2021. La Direzione investigativa Antimafia sottolinea quindi la fondamentale importanza strategica “dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale“. Le operazioni, spiega la Dia, sono tese ad aggredire le organizzazioni sotto il profilo patrimoniale per “arginare il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’ordine pubblico economico”. Una ulteriore conferma di quanto oltre 30 anni fa avevano previsto i giudici Falcone e Borsellino “che avevano fortemente voluto ed avviato quell”architettura antimafia‘ di cui la Dia è parte integrante”.

I numeri – Le attività della Dia sono dunque orientate a proteggere il tessuto economico del Paese: negli ultimi sei mesi dello scorso anno sono stati effettuati sequestri per 165 milioni, confische per 108 milioni. Sono state 373 le interdittive antimafia e 527 i monitoraggi delle imprese. A ciò si aggiungono 113 aziende controllate durante accessi ai cantieri e 68.955 segnalazioni per operazioni sospette.

L’analisi – “Le risultanze di analisi sui fenomeni criminali di tipo mafioso – sottolinea la Dia nella sua Relazione – continuano a presentare il rischio che i sodalizi di varia matrice, senza peraltro a rinunciare a porre in atto tutte le azioni necessarie a consolidare il controllo del territorio, possano perfezionare quella strategia di infiltrazione del tessuto economico in vista dei possibili finanziamenti pubblici connessi al Pnrr”. L’inquinamento dell’economia sana è aspetto fondamentale per la sopravvivenza delle consorterie, che aumentano la propria ricchezza “invadendo il campo dell’imprenditoria legale, specie quella maggiormente colpita dalle conseguenze dell’attuale crisi economica“. Le organizzazioni per altro non si limitano più al “saccheggio parassitario” della rete produttiva, “ma si fanno impresa sfruttando rapporti di collaborazione con professionisti collusi la cui opera viene finalizzata a massimizzare la capacità di reinvestimento dei proventi illeciti con transazioni economiche a volte concluse anche oltre confine”.

‘Ndrangheta – Le inchieste concluse nel secondo semestre del 2021 restituiscono ancora una volta l’immagine di una ‘ndranghetasilente ma più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, nonché costantemente leader nel narcotraffico“. La definisce così la Dia nella sua Relazione al Parlamento, segnalando “la preoccupazione legata ad un modello collaudato che vede la criminalità organizzata calabrese proporsi ad imprenditori in crisi di liquidità“, con l’obiettivo “di subentrarne negli asset proprietari e nelle governance“. La Dia torna a segnalare invece come l’impermeabilità al fenomeno del pentitismo, dovuta dalla “forte connotazione familiare“, si stia cominciando a incrinare per il “numero sempre crescente” di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia”. I maggiori proventi restano comunque legati al narcotraffico: i sodalizi calabresi si confermano “interlocutori privilegiati con le più qualificate organizzazioni sudamericane garantendo una sempre più solida affidabilità” e il settore non ha fatto registrare flessioni significative, neanche nell’ultimo periodo e nonostante le limitazioni alla mobilità per la pandemia. Non solo traffici, ma anche interessi nella produzione, con “il rinvenimento di numerose piantagioni di cannabis coltivate in varie aree della regione”: si tratta – secondo la Dia – di una circostanza che allo stato non permette di escludere “il coinvolgimento della criminalità organizzata nel fenomeno della produzione e lavorazione in loco di sostanza illecita destinata alla commercializzazione”.

Cosa Nostra – Anche in Sicilia si conferma “minimale” il ricorso alla violenza, mentre si continua registrare la convivenza sullo stesso territorio delle organizzazioni mafiose per la spartizione degli “affari“. Nella Relazione al Parlamento la Dia segnala come in uno scenario di stagnazione economico-produttiva, “trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del Pnrr destinati all’Isola“. La criminalità organizzata siciliana si presenta con caratteristiche diverse nelle varie aree della regione e la Relazione ricostruisce la geografia mafiosa. In Sicilia occidentale Cosa Nostra resta strutturata in mandamenti e famiglie: nella provincia di Agrigento si continua a registrare una “zona” permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta “stidda“, “che è riuscita con gli anni a elevare la propria statura criminale fino a stabilire con le altre famiglie patti di reciproca convenienza“; mentre a Trapani non può prescindere dal ruolo di Matteo Messina Denaro, che nonostante la decennale latitanza resterebbe la “figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse”. Resta inoperativa secondo la Dia la “commissione provinciale di Palermo“, e “la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà”, a questi personaggi mafiosi si affiancano poi giovani criminali “forti di un cognome o parentela ‘di spessore'”. In Sicilia occidentale, e i particolare nella città di Catania, alle storiche famiglie si affiancano altri sodalizi, più fluidi e non organici a Cosa Nostra.

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