Mi stavo guardando oggi gli ultimi provvedimenti del governo contro la crisi del gas naturale. Una serie di pezze messe qua è là: abbassare il termostato, spegnere le luci, docce più brevi, cose del genere. Poi sostituire il gas fossile con altri fossili, carbone per esempio: qualunque cosa che brucia va bene. E’ la strategia del tirare avanti “finché la barca va” che conosciamo bene in Italia. Pensando a questo modo di dire, mi è venuta in mente una storia recente: quella del naufragio della “El Faro” nel 2015 nell’Atlantico. E’ dai disastri che si impara, per cui permettetemi di raccontarvela in breve.

La El Faro non era una barchetta. Era una porta-container da oltre 30 mila tonnellate progettata per navigare in ogni condizione di mare. E’ stata una tragedia del tutto inaspettata che sia affondata con la perdita di tutto l’equipaggio. Cosa era successo? La cosa interessante è che non ci sono stati veri e propri errori del capitano (come invece era successo per la Costa Concordia nel 2012). Il problema è stato che nessuno sul ponte di comando si era reso conto del rischio che la nave correva affrontando un uragano di classe 4. Via via che si avvicinavano all’uragano, la situazione peggiorava. La risposta dell’equipaggio era di rimediare il rimediabile: tappare le falle, fare piccole variazioni di rotta, aggiustare quello che si rompeva.

Quando si sono accorti che rischiavano veramente di affondare, era troppo tardi per fare quello che avrebbero dovuto fare molto prima: cambiare rotta. Era troppo tardi anche per mettere in mare le zattere di salvataggio. Nessuno è sopravvissuto. E’ stata una storia drammatica e triste, ma che perlomeno ci illustra come cercare solo soluzioni a breve termine non risolve veramente i problemi. Questo atteggiamento a breve termine, tappare le falle via via che si presentano, è evidente nel piano di Cingolani. Ma nessuno al governo sembra rendersi conto che il paese sta fronteggiando un vero e proprio uragano economico e che non basta mettere pezze qua e là per risolverlo.

Il problema non è sopravvivere a questo inverno con calzini di lana e cose del genere, magari fosse tutto lì! Anche ammesso che riusciremo a installare i nuovi rigassificatori in tempi brevi, il problema è che il gas liquefatto costa caro. Molto più caro di quello che importavamo via gasdotto dalla Russia. Costa caro perché è costoso estrarlo, liquefarlo, trasportarlo e rigassificarlo. Ancora peggio, le navi che portano il gas liquefatto vanno dove i proprietari vogliono. Affidandoci al trasporto via nave ci mettiamo in bocca proprio a quegli speculatori di cui tutti si lamentano in questi giorni – gente che lucra sui prezzi sfruttando le difficoltà degli acquirenti.

Ma è così che funziona, è il bello del libero mercato. L’idea di mettere un “tetto” al prezzo del gas è un altra pezza che non risolve niente. Fra le altre cose, non pensate che il gas americano duri per sempre: nessuna risorsa minerale è infinita. Per non parlare dei danni che fanno al clima le perdite di metano nel trasporto del gas liquefatto. Nessuno al governo sembra rendersi conto (o perlomeno non lo dice apertamente) che l’Italia vive principalmente con i ritorni delle esportazioni dei prodotti delle nostre industrie. Ma produrre qualsiasi cosa richiede energia e il costo dell’energia si riflette direttamente su quello dei prodotti.

Se i prezzi dell’energia aumentano, le ditte Italiane rischiano di non essere più competitive sul mercato internazionale. E allora sono costrette a chiudere. E non è solo l’industria il problema. Parlavo in questi giorni con la direttrice di un museo fiorentino. Mi diceva che non possono più permettersi di pagare le bollette della luce e del riscaldamento. E allora cosa facciamo? Distribuiamo calzini di lana ai turisti? E li facciamo visitare il museo al buio? Più semplicemente, il museo chiude e così perdiamo anche i ritorni economici del turismo.

Siamo tutti disposti a fare sacrifici e li facciamo anche volentieri, ma in cambio di qualcosa di utile per il paese. Li faremo in cambio di un’infrastruttura che renda l’Italia finalmente libera dai ricatti dei produttori di energia, chiunque essi siano. Nella situazione attuale questa infrastruttura non può che essere basata sull’energia rinnovabile, l’unica che l’Italia, il “paese del sole”, può produrre sul proprio territorio. Ma arrivare a un’economia basata sulle rinnovabili richiederà tempo e non riusciremo mai ad arrivarci se non ci rendiamo conto del vero uragano che ci sta piombando addosso: la guerra. Più che dirci di indossare calzini di lana, il governo dovrebbe seriamente lavorare per la pace in Ucraina. Altrimenti, la “nave Italia” rischia veramente di affondare.

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