Sono passati poco più di cinque mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, che ha sconvolto l’Europa, mandato all’aria una serie di equilibri e fatto schizzare i prezzi di molte materie prime. Un mese dopo, a fine marzo, ancora nel pieno di una crisi internazionale, ilfattoquotidiano.it e Greenpeace hanno lanciato la campagna ‘Carrelli di plastica’. Un percorso fatto di approfondimenti, inchieste, dossier e cronaca. La partenza nonostante tutto, nonostante la guerra e la pandemia ancora in corso. Perché la ‘questione plastica’ è collegata a doppio filo alla cronaca: il 99% di tutta la plastica mondiale, d’altronde, deriva dalla trasformazione di combustibili fossili e l’esplosione dei prezzi dell’energia e dei carburanti ha avuto un impatto sulla filiera. Basti pensare alle aziende del riciclo e a quelle che producono bottiglie di acqua minerale. La campagna ‘Carrelli di plastica’ ha raccontato anche questo legame, per poi approfondire tutti gli aspetti del problema. Il confronto con gli altri Paesi sulla lotta al monouso, i limiti del riciclo, la presenza di microplastiche nel cibo e il paradosso della plastica compostabile rigida, che viene gettata nell’umido, finendo spesso in impianti che difficilmente riescono a degradarla sono solo alcuni degli argomenti trattati. ‘Carrelli di plastica’ torna a settembre, a ridosso delle elezioni politiche e al culmine di una campagna elettorale nella quale il tema ambientale ha già un suo peso specifico che non sempre si traduce in proposte serie.

I prossimi step – Si torna per rivelare altre verità scomode, ma anche storie virtuose e fuori dagli schemi del greenwashing. Alcune di queste storie ci sono state segnalate proprio dai lettori e dai sostenitori de ilfattoquotidiano.it (se non sei ancora sostenitore scopri come diventarlo) che hanno seguito fin da subìto l’iniziativa e hanno accompagnato la campagna passo dopo passo. Raccontando dubbi ed esperienze e inviandoci foto di imballaggi inutili o della ‘differenziata’ impossibile da differenziare. L’obiettivo, infatti, è quello di richiamare ognuno alle proprie responsabilità, dai produttori, alla grande distribuzione organizzata, fino alla politica.

L’estate 2022, tra gli allarmi lanciati da Ocse e Oms – Si torna per lo stesso motivo per cui si è partiti nonostante la guerra. Perché la ‘questione plastica’ non può più aspettare: occorre ridurre consumi e produzione di plastica usa e getta, che rappresenta il 40% di tutta quella prodotta a livello globale, finisce nei carrelli della spesa e, molto spesso, viene dispersa nell’ambiente. Tanto più che la situazione geopolitica rischia di trasformare la lotta alle fonti fossili in una caccia alle fonti fossili. All’inizio dell’estate l’avvertimento dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse): se nulla verrà fatto, la produzione di plastica triplicherà rispetto al livello del 2019, da 460 milioni di tonnellate a oltre 1,2 miliardi di tonnellate. E triplicheranno anche i relativi rifiuti. A fine luglio, l’appello dell’Organizzazione mondiale della sanità che, nel rapporto ‘Microplastics in Drinking Water’, spiega come le microplastiche, presenti anche nell’acqua del rubinetto, in quella in bottiglia e persino in quella di sorgente, sono ancora poco studiate, mentre “è urgente sapere di più sul loro impatto sulla salute”. Perché potenziali pericoli associati alle microplastiche presenti nell’acqua potabile non sono solo “di tipo fisico (causati dal loro accumulo) e chimico (alla loro tossicità)”, ma esiste la possibilità che possano queste essere veicolo per l’ingestione di microbi patogeni.

Quattro mesi di approfondimenti e inchieste – ‘Carrelli di plastica’ ha affrontato anche il tema delle microplastiche e della loro presenza nel cibo, parlando con esperti che hanno risposto alle domande dei lettori. Nel frattempo, è stata pubblicata sulla rivista ‘Polymers’ una ricerca sulla presenza di microplastiche nel latte materno. Lo studio ha visto coinvolti l’Unità Operativa Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Fatebenefratelli, l’Università Campus Bio Medico, l’Università Politecnica delle Marche e l’Università degli Studi di Sassari. Per la prima volta sono state trovate microplastiche nel latte materno, ma il risultato è che la loro onnipresente presenza nell’ambiente che ci circonda non solo rende inevitabile l’esposizione degli esseri umani a queste particelle, ma complica anche la ricerca di una fonte specifica di esposizione.

L’inchiesta sulla plastica compostabile – Ma, soprattutto, ‘Carrelli di plastica’, attraverso un’inchiesta condotta dall’unità investigativa di Greenpeace, ha svelato come la plastica compostabile rigida, dunque quella di piatti, posate e imballaggi rigidi, che in Italia va raccolta nell’umido (a differenza di quanto avviene nella maggior parte dei Paesi europei dove va conferita nell’indifferenziata) alla fine spesso finisce in impianti anaerobici che, per una serie di ragioni, difficilmente riescono a degradare la plastica compostabile rigida. Il resto viene portato in siti di compostaggio dove non è detto che queste plastiche restino il tempo necessario a degradarsi. Così, molti di questi rifiuti finiscono in inceneritori o discariche, come hanno testimoniato gli operatori dei laboratori di certificazione, ma anche di alcuni impianti dove viene conferito l’umido. Un’inchiesta che ha suscitato diverse reazioni, in primis da parte di Assobioplastiche e Biorepack, il consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, ma che non è stata smentita dai dati.

L’esposto in procura per le microplastiche di Brindisi – Nel report ‘Inquinamento silenzioso’, pubblicato in esclusiva nell’ambito della campagna, Greenpeace ha invece raccontato come nelle altre aree vicine a impianti specializzati nella produzione di materie plastiche, sulle spiagge limitrofe al petrolchimico di Brindisi si registra un’elevata presenza di nurdles, microplastiche note anche come pellet, della dimensione di una lenticchia e prodotte dalla raffinazione di idrocarburi come petrolio e gas fossile. Il dossier illustra i risultati di campionamenti effettuati nel 2021 in dodici spiagge lungo le coste pugliesi. In seguito ai risultati, l’organizzazione ambientalista ha presentato un esposto in procura, “chiedendo alla magistratura di investigare sull’inquinamento e verificare se sussistano le condizioni affinché si proceda al sequestro delle attività industriali presenti nell’area specializzate nella produzione di granuli”.

Il contributo dei lettori – ‘Carrelli di plastica’ ha chiesto da subito l’aiuto dei lettori e dei sostenitori. Per raccontare le abitudini e le difficoltà della differenziata, ma anche per immortalare tutta la plastica usa e getta inutile che si trova nei supermercati. Ricordiamo alcuni contributi. Come quello di Adriano Giordano, che ha sintetizzato i nodi della differenziata: “Purtroppo il problema non è solamente legato alle notevoli difficoltà di conoscere esattamente dove e come vanno smaltiti i vari elementi che compongono qualsiasi pacco di qualsiasi natura (le indicazioni sono spesso assenti e/o contraddittorie), il vero grande problema sta nel fatto che ogni territorio ha le sue regole”. Lo ha sottolineato anche Danilo Paolini, che lavora nel settore della distribuzione automatica di alimenti e bevande: “Prima di tutto si potrebbe iniziare a unificare i colori per la differenziata che sono diversi da regione a regione, da provincia a provincia, da città a città e da comune a comune. Inoltre, per i materiali da conferirvi, la guida viene diretta dall’azienda municipalizzata di turno in base all’impianto di separazione (plastica, plastica e alluminio, vetro, vetro e alluminio ecc.). Ricapitolando, la confusione regna sovrana!”. Nel passaggio, poi, tra la differenziata e il riciclo, vengono a galla tutte le responsabilità di produttori e grande distribuzione organizzata.

Le responsabilità di multinazionali e supermercati – Un aspetto più volte sottolineato dai lettori, che denunciano la mancanza di chiarezza nelle etichette, disservizi e pubblicità ingannevoli. Ilfattoquotidiano.it ha raccontato cosa stanno (o non stanno) facendo le multinazionali che non mantengono le promesse e fanno molto poco per ridurre imballaggi inutili e aumentare le percentuali di quelli riutilizzabili. La grande distribuzione si adegua. Sconfortante il quadro che emerge dal rapporto ‘Under wraps? Quello che i supermercati europei non ci dicono sulla plastica’, a cui hanno lavorato 21 ong della coalizione Break Free from Plastic. Le principali catene europee (non italiane) annunciano iniziative per ridurla, poi fanno pressione contro i cambiamenti e nascondono i dati. ‘Carrelli di plastica’ ha già chiesto alle catene italiane di fornire i propri dati. Presto racconteremo come si comporta la Grande distribuzione organizzata in Italia. Nel frattempo, però, una panoramica emblematica di ciò che si trova sugli scaffali ce l’hanno fornita proprio i sostenitori, con le foto inviate alla redazioni di imballaggi inutili e improbabili. Guardare per credere.

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