«Non c’erano candidati migliori. Avrei votato Lagalla anche se fosse stato a sinistra». Lo dice Marcello Dell’Utri a FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 9 luglio, che dedica la storia di copertina al dopo voto per il sindaco di Palermo. Un voto che ha visto vittorioso Roberto Lagalla, sostenuto dallo stesso Dell’Utri e da Totò Cuffaro, cioè da due politici che hanno scontato pene definitive per i loro rapporti con Cosa nostra. La campagna elettorale è stata segnata inoltre dall’arresto di ben due candidati al consiglio comunale, Pietro Polizzi di Forza Italia e Francesco Lombardo di Fratelli d’Italia, entrambi accusati di scambio elettorale politico-mafioso. Niente di tutto questo ha fermato la vittoria del centrodestra, mentre il centrosinistra, che ha puntato molto sul tema dell’antimafia, è stato punito dagli elettori.

Parte da qui il reportage di Manuela Modica e Sandra Rizza, che racconta il dopo voto e l’attesa per due grandi eventi: le elezioni regionali d’autunno e la pioggia di soldi che investirà la Sicilia con il Pnrr. Chi mostra di avere le idee chiare su quanto è successo è il sindaco uscente Leoluca Orlando, da tre decenni attivo sul fronte antimafia: «La campagna elettorale non è stata solo bruttissima, è stata inquietante. Cuffaro e Dell’Utri hanno deciso per Lagalla, e tutti gli altri candidati del centrodestra si sono dovuti ritirare. Posso essere inquieto? Nella vita democratica questi sono messaggi precisi». Ma è possibile che una parte consistente dell’elettorato cittadino non abbia mai rotto davvero con l’idea di una borghesia mafiosa considerata portatrice di benessere e ricchezza? Ed è possibile che una parte del ceto politico, a trent’anni dalle stragi, consideri “normale” intrattenere rapporti con pregiudicati per mafia senza sentire “il puzzo di compromesso morale” di cui parlava Paolo Borsellino? Orlando non fa sconti: «Sono stati lanciati messaggi che, a prescindere dall’intenzionalità, sono rassicuranti per la criminalità organizzata. A partire dalla procedura con cui si è arrivati alla scelta di Lagalla: anche questa può essere stata confortante per gli ambienti mafiosi».

C’è chi sostiene che la vera la colpa del fronte progressista sia stata proprio quella di puntare tutto sulla “questione mafia”, con l’illusione che i palermitani si indignassero per il ritorno di Cuffaro e Dell’Utri sulla scena politica. Non è stato così. In una città dove 63 mila famiglie vivono grazie al reddito di cittadinanza, e più di 800 non hanno un tetto sopra la testa, la strategia del candidato Franco Miceli, fermo al 29,5% contro il 47,6% di Lagalla, si è rivelata fallimentare. La sconfitta è arrivata soprattutto nelle borgate popolari: a Brancaccio Lagalla non è sceso mai sotto il 60 per cento. In zone come lo Zen o il Cep ha viaggiato sul 62-63 per cento. A sorpresa, la migliore performance per Miceli è stata nel centro cittadino: nella sezione della scuola Rapisardi, dove vota la Palermo-bene, il Pd con 407 voti è risultato il primo partito.

Che succederà dunque, adesso che le forze politiche guardano alle elezioni regionali del prossimo autunno, per accaparrarsi il controllo di quegli 82 miliardi di euro (il 40 per cento dei 235 miliardi destinati al nostro Paese) che il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, è pronto a iniettare nel sistema economico del Sud, e di cui una quota consistente verrà convogliata nell’edilizia?

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