A Napoli sono scoppiate due “bombe” che devono far riflettere il Pd e la politica tutta. La prima è scoppiata il 9 marzo, quando decine di uomini e donne impegnati socialmente hanno pubblicato una lettera aperta rivolta al segretario del Pd, Enrico Letta, con la quale senza mezzi termini si accusa il presidente Vincenzo De Luca di adottare metodi clientelari e con altrettanta chiarezza si invita il segretario a intervenire. La seconda è scoppiata nella notte tra lunedì e martedì quando la sede della FILcams, in piazza Garibaldi, è stata devastata da un raid di sconcertante violenza: quelle stanze avevano appena finito di ospitare lo staff di Libera, promotrice della XXVII Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Di questo raid ha detto Federico Cafiero de Raho, intervistato da Il Mattino: “Dietro il raid compiuto l’altra notte nella sede della FILcams di piazza Garibaldi non può che esserci la mano della camorra. (…) Quando Napoli ha saputo realizzare la più grande manifestazione dedicata a tutte le vittime innocenti delle mafie che si sia mai vista in Italia. Una folla straripante è scesa in strada…”

C’è un nesso tra queste due “bombe” che è rappresentato dal rapporto che si ha e che si vuole avere con la cultura dell’intimidazione come fondamento della gestione del potere. La capacità di fare paura agli altri intesa come fattore di conquista e di mantenimento del potere, una capacità che prende differenti forme e tra queste ci sono sicuramente il clientelismo e il familismo, oltre al più banale armamentario costituito da minacce, violenze e ricatti. Familismo e clientelismo, traducendo la volontà di proteggere e promuovere esclusivamente i “propri”, sono infatti una sofisticata forma dell’intimidazione perché rendono manifesto il potere spudorato di chi, in totale disprezzo della dignità altrui, si permette di fare quello che vuole.

L’intimidazione messa a fondamento dell’esercizio del potere evoca modelli dispotici che nulla dovrebbero avere a che fare con l’attività politica in democrazia e che dovrebbero essere relegati esclusivamente al perimetro delle condotte criminali – restando per questo qualificante retaggio delle organizzazioni mafiose, le quali dovrebbero infatti essere quanto di più esecrato da chi fa politica e quanto di più combattuto.

La denuncia dei campani contro De Luca è stata ribadita il 23 marzo, con un secondo articolo accorato a firma di Isaia Sales pubblicato da La Repubblica, che fa riflettere per la sua portata universale (non soltanto in riferimento all’universo Pd, ma all’universo partiti). Ne riporto un brano: “Con De Luca la politica si identifica totalmente con chi fa parte delle istituzioni (…) le ambizioni personali giustificano qualsiasi idea che sia strumentale alla permanenza sulla scena politica. Cosa ha a che fare questa concezione utilitaristica dei partiti e della politica con le prospettive (…) di baluardo contro la regressione localista, sovranista, familista. (…) De Luca è portatore di una visione ‘clanica’ della politica e dei partiti, cioè di clan territoriali e familiari che sostituiscono il crollo degli ideali politici con l’appartenenza di sangue e di luogo e con la relativa fedeltà che ciò impone”.

Tornano in mente le parole di Berlinguer sulla “questione morale”, non a caso invocata per la prima volta durante una direzione straordinaria del Pci convocata, ironia della storia, proprio a Salerno (!) pochi giorni dopo la tragedia del terremoto in Irpinia. E in cosa consisteva il nucleo della “questione morale” se non nella critica radicale alla pretesa dei partiti di farsi misura del mondo, chiamando “bene” il proprio “utile”?

Ma c’è un altro filo che lega le due “bombe” scoppiate a Napoli: la piazza straripante di gente comune che ha manifestato per la legalità e contro le mafie il 21 marzo. Sono certo che in quella moltitudine ci fossero anche tanti di coloro che hanno firmato l’appello al segretario Letta, a cominciare dal professore Isaia Sales, che come pochi altri in Italia è stato capace di descrivere il codice genetico delle mafie e per questo, come pochi altri, è capace di riconoscerlo nonostante tutte le sue gattopardesche mutazioni. Una bella sfida per Letta e per gli altri leader democratici.

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