A due settimane esatte dalla dichiarazione di inammissibilità la Corte costituzionale ha depositato le motivazioni su referendum bocciati, Per quanto riguarda quello relativo alla depenalizzazione della coltivazione della cannabis i giudici – presieduti da Giuliano Amato, estensore Giovanni Amoroso – hanno ribadito quello che era stato già scritto in sintesi in una nota e poi ripetuto in conferenza stampa dal presidente. Ecco che nelle motivazioni ritorna il richiamo alle Convenzioni internazionali di Vienna e di New York in materia di stupefacenti, quegli obblighi internazionali da rispettare che erano stati già citati. Anche perché, stando alle toghe, la formulazione del quesito avrebbe permesso la coltivazione “massiva” della canapa comunque e anche quello di altre droghe, come la coca e l’oppio.

Il quesito referendario sull'”abrogazione di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope” è inammissibile, secondo la costante giurisprudenza sull’articolo 75 della Costituzione, “perché si pone in contrasto con le Convenzioni internazionali e la disciplina europea in materia, difetta di chiarezza e coerenza intrinseca ed è, infine, inidoneo allo scopo”. Il Comitato promotore ha articolato il quesito referendario in tre parti, riguardanti la depenalizzazione della coltivazione della cannabis, l’eliminazione della sanzione della reclusione da due a sei anni per tutti i reati concernenti le droghe leggere e l’esclusione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida in caso di uso personale di stupefacenti, sia di tipo pesante sia di tipo leggero.

La Corte ha rilevato che l’eliminazione della parola “coltiva” dal primo comma dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti – oggetto della prima parte del quesito referendario – farebbe venir meno la rilevanza penale anche della coltivazione delle piante da cui si estraggono le droghe pesanti (papavero sonnifero e foglie di coca), e ciò sebbene la richiesta referendaria, secondo le intenzioni dei promotori dichiarate in giudizio, mirasse a depenalizzare le sole condotte di coltivazione “domestica” e “rudimentale” delle piante di cannabis. La Consulta ha quindi ritenuto che la lettura riduttiva prospettata dai promotori non è in alcun modo ricavabile dal testo normativo. Attraverso il richiamo testuale alla Tabella I, la “coltivazione” di cui si parla al comma 1 dell’articolo 73 non può che riferirsi alle droghe pesanti, e non già solo alla cannabis che, invece, è compresa nella Tabella II, richiamata dall’articolo 73, comma 4, del medesimo Testo unico. La richiesta referendaria – secondo il suo contenuto oggettivo, unico rilevante – avrebbe condotto quindi alla depenalizzazione della coltivazione di tutte le piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, pesanti e leggere, con ciò ponendosi in contrasto con gli obblighi internazionali derivanti dalle Convenzioni di Vienna e di New York e con la Decisione Quadro 2004/757/GAI.

Inoltre, la Corte ha osservato che il risultato perseguito dalla richiesta referendaria neppure sarebbe stato raggiunto, in quanto sarebbero rimaste nell’ordinamento altre norme, non toccate dalla richiesta referendaria, che sanzionano la coltivazione della pianta di cannabis nonché di ogni altra pianta da cui possono estrarsi sostanze stupefacenti (articoli 26 e 28 del Testo unico sugli stupefacenti). Ciò rendeva, in questa parte, il quesito “fuorviante” per l’elettore. Con riferimento alla seconda parte del quesito, la Corte ha evidenziato un profilo di manifesta contraddittorietà, perché l’abrogazione della pena detentiva per le condotte aventi ad oggetto le sole droghe leggere avrebbe determinato una stridente antinomia con il trattamento sanzionatorio di analoghi fatti, ma di “lieve entità”. Per questi ultimi, infatti, sarebbe rimasta comunque in vigore la pena congiunta della reclusione e della multa; ciò avrebbe finito per porre l’elettore di fronte a una scelta illogica e contraddittoria.

“Non vi è quindi dubbio che, alla stregua delle Convenzioni internazionali di Vienna e di New York, nonché della richiamata normativa europea, la canapa indiana e i suoi derivati – si legge nelle motivazioni – rientrano tra le sostanze stupefacenti, la cui coltivazione e detenzione deve essere qualificata come reato e che solo la loro destinazione al consumo personale rende possibile l’adozione delle misure amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla sanzione penale”.

Inoltre, secondo i giudici, “come conseguenza indiretta dell’eventuale abrogazione referendaria della parola “coltiva” nel comma 1 della stessa disposizione che sarebbe parimenti depenalizzata altresì la coltivazione della canapa, prevista dalla Tabella II, pure essa nella dimensione agricola, in ipotesi finanche massiva”. “Pertanto il quesito referendario – per quello che è il suo contenuto oggettivo, l’unico rilevante, e non già la finalità soggettiva assunta dal Comitato nella sua memoria – conduce a depenalizzare direttamente la coltivazione (quale ne sia l’estensione) delle piante della Tabella I, da cui si estraggono le sostanze stupefacenti qualificate come droghe cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca), e indirettamente altresì la coltivazione della pianta di cannabis della Tabella II, peraltro nella dimensione anche agricola e non solo domestica (quest’ultima, anzi, essendo in parte già fuori dalla fattispecie penale nella misura in cui ricorrano le condizioni indicate dalla citata giurisprudenza di legittimità)”

“In definitiva, mentre apparentemente, per quella che è la dichiarata intenzione del Comitato, il quesito referendario mirerebbe soltanto a depenalizzare la coltivazione, non agricola ma domestica “rudimentale” (o minimale), della canapa indiana (cannabis), in realtà esso, per quello che è invece il suo contenuto oggettivo, l’unico rilevante, – si legge nelle motivazioni – per un verso produrrebbe un risultato ben più esteso, riguardando direttamente ogni coltivazione delle piante per estrarre sostanze stupefacenti cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca) e indirettamente anche la coltivazione, agricola o domestica che sia, della pianta di canapa; risultato complessivo precluso dai vincoli sovranazionali sopra richiamati che non consentono l’ammissibilità di un referendum di questa portata”.

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