Da diversi giorni era già difficile sostenere che la guerra in Ucraina dovesse ancora iniziare e negare che Putin a “piccoli passi” stesse procedendo, in aperta violazione della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione del popolo ucraino, ad estendere l’indipendenza già riconosciuta sic et simpliciter alla due repubbliche filo-russe di Donetskt e Lugansk all’intera regione del Donbass.

L’obiettivo intermedio, non troppo recondito o di difficile prevedibilità, poteva sembrare quello “minimo” di restringere progressivamente il controllo dell’attuale governo eletto democraticamente nella parte orientale del paese per logorare ed indebolire “l’insostenibile” Zelensky ostinato, come la stragrande maggioranza degli ucraini, ad entrare nel Patto Atlantico.

Ora a poco più di una manciata di ore dall’invasione a tenaglia che non risparmia nessuna area del paese e che di fatto riporta la guerra nel cuore dell’Europa è tragicamente evidente l’obiettivo principale dell’offensiva. Lo conferma l’assedio di Kiev dove gli ucraini si stanno battendo strenuamente e ove è in atto un colpo di mano cruento e lungamente pianificato per sostituire Zelensky con un presidente filo-russo molto simile al fido Aleksandr Lukashenko, quanto a caratura democratica, finalizzato a riaffermare in modo inequivocabile l’immagine di un rinnovato e rafforzato imperialismo putiniano.

Intanto procede, in parallelo con l’invasione e l’avanzata dei carrarmati, la macchina della propaganda bellica putiniana dove mistificazione, intimidazione, pseudo disponibilità al dialogo e alla trattativa si sovrappongono in modo apparentemente inestricabile e purtroppo continuano a far presa su molti, troppi protagonisti politici, osservatori e commentatori europei che preferiscono credere alle panzane dello zar piuttosto che prendere atto della realtà e comunicare ed agire conseguentemente.

Da troppo tempo e, drammaticamente quanto incredibilmente, negli ultimi giorni e persino nelle ultime ore, in nome di un preteso multilateralismo e di una imprescindibile realpolitik, si è continuato a mettere sullo stesso piano gli errori e le malefatte geopolitiche dell’Europa e degli USA con la politica criminale, la pretesa imperialistica ed il revanscismo tardo sovietico di Vladimir Putin: un despota che da quasi cinque lustri domina la Russia in un regime di democrazia tanto apparente e fasulla da relegare in carcere il capo dell’opposizione Navalny, dopo aver tentato di eliminarlo fisicamente analogamente ai giornalisti “indesiderati” e agli oligarchi diventati “scomodi”.

Così progressivamente lo spot, anche dei giornalisti con la schiena dritta che per anni hanno denunciato le nefandezze del regime putiniano e hanno considerato un modello il lavoro a rischio della vita di giornalisti come Anna Politovskaya, una dei sei giornalisti uccisi nella redazione di Novaya Gazeta che continua a scrivere ma dalle repubbliche baltiche, si è spostato quasi esclusivamente sulle manchevolezze e gli scivoloni di Biden e delle leadership europee.

In primo piano allo stesso livello delle mosse incontestabili e di facile decodificazione come il progressivo dispiegamento delle forze militari di Putin, quasi duecentomila uomini per attaccare da ogni lato, sono stati messi i presunti allarmi ingiustificati di Biden, ovvero gli “isterismi”, “la solfa”, “le litanie”, per ridurre il tutto ad equivalenti mosse propagandistiche. Con l’effetto prevedibile di ingenerare il convincimento nell’opinione pubblica che si trattava del solito “al lupo, al lupo” e che in fondo “questo o quello per me pari sono”: da una parte i soliti guerrafondai americani esportatori della falsa democrazia imposta con le armi che si agitano scompostamente, dall’altra la Russia di Putin, “una democrazia anche se un po’ diversa dalla nostra”, secondo la memorabile definizione di D’Alma, che si sente assediata e che voleva solo difendere le repubbliche russofone del Donbass.

Ora mi sembra che sia abbastanza evidente quale sia stato lo sviluppo della cosiddetta “crisi paradossale”, di chi sia la responsabilità, quanto sia stato improprio e fuorviante focalizzarsi sui presunti “toni parossistici dell’occidente per alzare la tensione”.

Quanto alla asserita “incomprensibilità” della convenienza di Putin ad invadere l’Ucraina e a scatenare una guerra sotto ogni profilo europea, anche se l’Ucraina e la difesa del diritto internazionale e della sovranità nazionale sono per ora sostenute più a parole che nei fatti, analisti e commentatori increduli dovrebbero rivolgersi direttamente al Cremlino.

Putin, con “l’operazione speciale” nei confronti dell’Ucraina e la minaccia “di ritorsioni mai viste per chi interferisce” sta confermando il suo modus operandi già ampiamente applicato con la Crimea ed attua la sua strategia pianificata contro l’ Occidente. Contemporaneamente consolida l’asse antidemocratica con la Cina che con il suo doppio gioco favorisce apparentemente un negoziato tra Mosca e Kiev, inesistente, e si accredita come grande mediatore, mentre avversa le sanzioni concordate tra Europa ed Usa e si appresta ad assorbire buona parte dei flussi commerciali della Russia.

Tutto si può dire di Putin, analogamente all’amico Silvio suo ospite in dacia e destinatario negli anni ruggenti del mitico “lettone”, che non si sia sempre manifestato per quello che è. Solo per citare l’uscita più recente, mentre marcia su Kiev e tiene in piedi la favola del tavolo negoziale con Zelenski, prossimo ad essere sostituito con un fantoccio e a rischio di vita, ha chiesto all’esercito ucraino di prendere il potere: “Sarà più facile negoziare con voi che con una banda di tossicodipendenti e nazisti che ha preso il popolo ucraino in ostaggio”.

D’altronde nel giorno dell’assassinio di Anna Politovskaya avvenuta singolarmente il giorno del suo compleanno Putin, per stornare da sé qualsiasi sospetto commentò: “Fa più danni adesso che è morta che quando era viva”.

E Anna Politovskaya nel suo libro La Russia di Putin che sarebbe stata buona cosa leggere allora e anche oggi in Occidente oltre che in Russia, se permesso, scriveva: “La Russia ha già avuto governanti di questa risma ed è finita in tragedia, in un bagno di sangue, in guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo.” Sembra lo scenario che può profilarsi per l’Ucraina se buona parte della popolazione non si piega all’occupazione putiniana.

Comunque proceda, questa occupazione è una tragedia insensata, che sconvolge le vite di chi la sta subendo in prima persona ed imprime una svolta densa di incognite e difficoltà all’Europa e all’intero assetto delle democrazie occidentali.

Noi come cittadini europei, al di là di tutte le criticità addebitabili alle istituzioni europee, siamo chiamati in causa collettivamente ed individualmente perché si tratta della difesa dei principi e dei valori fondamentali delle nostre costituzioni e della stessa Comunità Europea, che vengono prima dei calcoli economici ed opportunistici molto spesso controproducenti oltre che miserevoli.

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