L’8 ottobre scorso l’Accademia svedese ha assegnato il premio Nobel per la pace a due giornalisti: Maria Ressa e Dmitrij Muratov. Quest’ultimo, direttore della Novaya Gazeta, nel 2011 è stato intervistato a Mosca dal reporter indipendente Giorgio Fornoni: si tratta di un dialogo molto interessante sul significato e i rischi di essere giornalisti in Russia, sul potere di Putin e sulle limitazioni alla libertà di stampa. Muratov, inoltre, ha ricordato le storie dei sei colleghi di redazioni uccisi per aver cercato la verità. Tra questi c’è anche anche Anna Politkovskaja, intervistata sempre da Fornoni nel 2003. Qui sotto riportiamo entrambe le interviste, che offrono una fotografia emblematica delle storture all’interno del mondo dell’informazione russa. Che oggi, a distanza di 10 e 18 anni dalle parole dei due giornalisti, è pressoché rimasto immutato.

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Il mondo del giornalismo è in festa. Grande commozione venerdì quando abbiamo ascoltato il telegiornale che annunciava l’assegnazione del premio Nobel a due giornalisti di “prima linea”: Maria Ressa, definita una ‘icona’ per la libertà di stampa nelle Filippine, e Dmitrij Muratov direttore della Novaya Gazeta, il giornale dove lavorava Anna Politkovskaja, mio stimato amico. Nobel assegnato “per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è una precondizione per la democrazia è una pace duratura” ha annunciato Berit Andersen, presidente del comitato norvegese per il Nobel. Ho più volte frequentato la redazione di Mosca della Novaya Gazeta, perché era fonte di notizie per le mie inchieste sulle “Armi di distruzione di massa”, su “Il calvario ceceno”, e sui “Giornalisti russi di prima linea” e più volte ho incontrato e intervistato Dmitrij Muratov. Conoscevo bene dunque anche alcuni giornalisti che lavoravano per il suo quotidiano, come Natalia Estemirova e la stessa Anna Politkovskaya, assassinata il 7 ottobre 2006 a Mosca mentre stava rincasando: da loro ho più volte raccolto interessanti testimonianze. L’intervista che segue è l’ultima che Muratov mi ha rilasciato, in occasione della mia inchiesta sui “Giornalisti russi di prima linea” andata in onda sulla Rai qualche tempo fa.

C’è libertà di espressione in Russia?
No, non si può parlare di libertà nel ricevere e accedere alle informazioni. Le persone che vogliono sapere qualcosa leggono il Kommersant, le Vedemosti, la Novaya Gazeta, i siti internet Gazeta.ru, il settimanale The New Times e ricevono la foto completa del Paese. Comunque nella carta stampata c’è più libertà che nei media elettronici: in televisione non c’è libertà di parola nel modo più assoluto. Tutta la televisione federale, tutti i canali sono di pura propaganda; una grossa macchina di propaganda. E su internet da noi è diffusissimo il fenomeno del trolling.

Nella vostra redazione avete avuto 6 giornalisti uccisi.
Dieci anni fa hanno ucciso Igor Domnikov, un ragazzo assolutamente eccezionale; è stato ammazzato da mercenari che sono stati arrestati e condannati all’ergastolo, ma il mandante dell’omicidio fino ad oggi non è stato trovato, sebbene sia conosciuto. É un ex pubblico ufficiale di “categoria A”. Che vuol dire un alto funzionario statale, vicegovernatore di una regione. Ancora oggi l’inchiesta prosegue. Poi la morte misteriosa di Jurij Sekocikhin, mio sostituto, amico stretto, e nello stesso tempo capo della commissione anticorruzione della Duma, il Parlamento russo. É morto il 3 luglio 2003, alcuni giorni dopo essersi ammalato. La malattia è misteriosa, a Jurij non è rimasta la pelle. Da tempo è chiaro che è stato avvelenamento, causato da sostanze tossiche di origine militare. L’inchiesta è ricominciata cinque volte, lo sanno tutti che è stato omicidio, ma perché e chi, fino ad ora, non si sa. Anna Politkovskaya, uccisa nell’ottobre 2006, nell’androne del palazzo dove viveva: al probabile assassino, che era ricercato e non poteva lasciare il Paese, qualcuno ha dato un passaporto nuovo e ora si trova in qualche parte dell’Europa occidentale. Il mandante non è stato trovato, così come il basista. L’inchiesta procede da anni ma nessun passo avanti serio è stato fatto per trovarli. Noi stiamo conducendo un’inchiesta indipendente, di cui non posso parlare. Basta dire che a pedinare Anna c’erano degli agenti della polizia moscovita con una macchina di servizio. Poi Stanislav Markelov, il nostro avvocato che ci ha difeso in trenta cause, e Anastasija Baburova, una giovane stagista, ancora non era neanche entrata a far parte della redazione: sono stati uccisi da fascisti in una spedizione punitiva. Coloro che hanno sparato sono stati arrestati e sono tutt’ora sotto processo al tribunale cittadino di Mosca. Nei casi di Sekocikhin e Domnikov ci sono di mezzo interessi dello Stato e la lotta di corruzione, qui siamo davanti a una storia connessa con la rinascita di tradizioni nazionaliste e naziste in Russia. Queste sono organizzazioni da non sottovalutare, la nostra redazione continua a ricevere ogni tipo di minaccia da parte loro.

La sesta è Natalia Estemirova.
Noi più volte l’abbiamo avvertita, avremmo voluto che smettesse di lavorare in Cecenia. Tuttavia è stata fatta passare attraverso tutti i posti di blocco. È incomprensibile come sia stato possibile che non abbiano controllato la macchina, c’erano posti di blocco ogni 500 metri.

Com’era Anna Politkovskaya?
Anna ha lavorato durante la seconda guerra cecena e dopo, facendo 150 trasferte in pochi anni. Riceveva informazioni e le verificava; aveva intrapreso questo cammino pericoloso assieme a Natalia Estemirova, fonte di informazione per lei, guida e amica. Erano molto intime e dal punto di vista umano erano due personalità molto serie e inflessibili. Purtroppo in entrambi i casi abbiamo agito troppo tardi. Io avevo dato disposizione affinché la Politkovskaya non andasse più in Cecenia, è partita mentre ero in ferie. La Estemirova l’ho avvisata io stesso: “Natalia, lei dovrebbe andare via, perché ha passato un determinato limite”.

Come sono accaduti i fatti di Beslan del 2004, ovvero l’occupazione e la minaccia di far saltare con kamikaze della guerriglia cecena un’aula in festa piena di scolari ed insegnanti?
Anna era tornata da una trasferta proprio il giorno in cui era iniziata la vicenda. Abbiamo deciso di mandarla là non soltanto perché raccontasse i fatti, ma soprattutto per aiutare affinché non ci fossero vittime. E anche per l’intermediazione di Zakaev, rappresentante di Maskhadov, leader della guerriglia cecena, che si trovava a Londra: era riuscita a farsi garantire che lo stesso Maskhadov fosse pronto per andare a Beslan, per consegnarsi in cambio degli ostaggi della scuola. Il compito di Anna era quello di andare lì insieme a Maskhadov per fare lo scambio tra gli ostaggi e l’allora presidente della Cecenia. Lui pensava di poter convincere i terroristi a liberare gli ostaggi, e la giornalista serviva, come ebbe a dire Maskhadov, perché non lo uccidessero sulla strada per Beslan: il mondo mediatico doveva “scortarlo”… Come sappiamo, durante il viaggio aereo la Politkovskaya ha chiesto del tè, che evidentemente era avvelenato. Non volevano che arrivasse là. Quando è arrivata a Rostov aveva già pressoché perso i sensi, é riuscita solo a chiamarmi al telefono dicendomi che stava morendo. Quando l’abbiamo raggiunta era ricoverata al reparto malattie infettive. Il fatto che quella volta sia poi sopravvissuta è stato sicuramente un miracolo. Cosa è interessante di tutto ciò? Tutte le analisi che le hanno fatto i medici del pronto intervento in aeroporto, sono andate rotte… Il medico, per caso, come hanno detto loro, le ha lasciate cadere. Siamo riusciti a imbarcare Anna su un volo speciale per Mosca e a ricoverarla in una clinica americana; avevamo paura a metterla in un qualsiasi altro ospedale.

A Novaya Gazeta avete ricevuto minacce?
Purtroppo sì. La maggior parte provengono dai gruppi nazionalisti.

Che brutta frase ha detto Putin sulla morte di Anna Politkovskaya: “Fa più danni adesso che è morta che quando era viva”.
Penso che Anna e Putin fossero avversari politici e che questo sia successo proprio nel giorno del compleanno di Putin. Chi gli ha fatto un regalo così grosso non lo so, lo dovrebbe chiarire l’inchiesta.

Gazprom é uno strumento di potenza mondiale?
Nella Federazione Russa non esiste nulla di trasparente per quanto riguarda il mercato del gas. Parlare di trasparenza della Gazprom è impensabile. Sarebbe come parlare di trasparenza per i casinò clandestini. La decisione dei prezzi di Gazprom è collegata sempre con pressioni politiche: il gas per l’Ucraina é venduto a un prezzo superiore rispetto a quello dell’Europa, il gas per la Bielorussia dipende continuamente dalla connessione o meno della rete nazionale da parte di Lukasenko. Contemporaneamente va avanti una continua e segreta lotta politica sul dare o meno il gas all’Europa e in che quantità. Gazprom è uno strumento di Vladimir Putin, influenza i diversi processi politici.

Perché avete dato vita a Novaya Gazeta?
Nella nostra società c’è il bisogno di un punto di vista alternativo, differente da quello ufficiale. Si sente, sta aumentando la nostra tiratura del cartaceo. Indipendenti dallo stato non possiamo essere, noi affittiamo dallo stato i locali, non possiamo raccogliere pubblicità, nella misura in cui il pubblicitario ha paura che la propria réclame finisca nella stessa pagina dove ci sono certe critiche. Nonostante ciò, noi non abbiamo mai presi una sola Kopeka dallo Stato, né sotto forma di prestito, né sconti, né vantaggi. E questa cosa ci dà l’autonomia di lavorare nella più assoluta libertà. Siamo finanziati da azionisti. Mikhail Gorbacev e Aleksander Lebedev sostengono il giornale affinché tutto continui in maniera normale.

Il 51% delle azioni appartiene al giornale stesso, il 39% a Lebedev e il 10% a Gorbacev.
Lebedev è un imprenditore ed ha la banca più trasparente del paese. Anche lui ha ricevuto delle minacce e ha dovuto subire un assalto delle truppe speciali con volti coperti che gli ordinavano di tirar fuori i documenti.

Si può parlare di democrazia in Russia?
Esistono tribunali indipendenti, quando i processi non interessano la sfera politica o il grande business. Quando invece cominciano a toccare la politica o i grandi affari, allora i tribunali diventano di Stato e non più indipendenti. Per quanto riguarda la libertà dei mezzi di informazione, esistono media liberi nella carta stampata, ma certamente non esiste libertà in televisione: basta accenderla per capirlo. Quando succede qualcosa di grave, aspettano istruzioni.

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Anna Politkovskaya: “Sì, ho paura. Ma questa é la mia professione e avere paura è una cosa personale”
Nell’agosto 2003 incontrai Anna Politkovskaya nel suo ufficio a Mosca, nella redazione della Novaya Gazeta. A prima vista ho capito la sua determinazione: agiva come se non volesse perdere tempo, doveva gridare al mondo con la sua voce la tragedia dell’uomo che soffre, dei civili vittime senza colpa che hanno un unico torto se non quello di essere in Cecenia e di trovarsi a casa loro. Da anni la Politkovskaya era la testimone più onesta e credibile sul fronte della guerra cecena. Non schierata politicamente, denunciava allo stesso modo i soprusi dei soldati russi e le violenze dei guerriglieri ceceni che continuano a fornire alibi alla repressione, attenta soprattutto a difendere la dignità dell’uomo e il rispetto della vita. Già nell’ottobre 2002 al teatro Dubrovka, unica a cui credevano persino i terroristi suicidi, come dimostrò nel suo intervento per salvare gli ostaggi all’interno del teatro. Tanto generosa in ogni grave momento come a Beslan, quando subito si era proposta per salvare i bimbi all’interno della scuola e che invece vigliaccamente venne avvelenata nell’aereo che la trasportava per raggiungere quel luogo maledetto. Essere giornalisti di prima linea in Russia vuol dire dover affrontare due prime linee; una, quella della guerra, e un’altra, quella del sicario che ti aspetta cinicamente con la pistola proprio nell’ascensore del tuo palazzo. Pochi anni fa, lei, madre di due figli, venne sacrificata perché dava voce agli umili e indifesi. Questa è parte dell’intervista:

Perché ci sono donne kamikaze in Cecenia?
La maggior parte delle donne kamikaze sono persone portate alla disperazione da tutto ciò che ho sempre raccontato. Madri e sorelle di scomparsi che hanno bussato alle porte di tutte le sezioni di polizia, ma che hanno ricevuto sempre la stessa risposta “non ci sono più, sono scomparsi, rassegnatevi”. Dal 2001 queste donne hanno iniziato a dire apertamente che a loro non rimane più niente se non farsi giustizia da se. Se i militari si fanno giustizia da se, in risposta riceveranno lo stesso…a loro non rimane altro che la vendetta.

Lei non condivide le scelte del presidente Putin?
Ritengo che se sei un presidente e siedi al Cremlino, la tua responsabilità principale è che nel tuo Paese ci sia la pace. Personalmente non è che non mi piaccia Putin, è che non mi piace ciò che lui sta facendo. Lui deve mantenere la pace, è un suo dovere costituzionale. Lui invece da 4 anni continua la guerra nel Caucaso, con migliaia di morti non solo ceceni ma anche russi. Gli attentati non possono cessare. Putin deve smetterla con questa guerra suicida e mettersi al tavolo delle trattative anche con quelle persone che non gli piacciono. Il primo agosto c’è stato un attentato: 50 morti. La prima cosa che ha dichiarato Putin, con i morti che non erano ancora stati sepolti e appena dichiarata giornata di lutto, è stato dire: “Niente ci farà cambiare la nostra linea politica in Cecenia”. Questo significa: “Niente mi impedirà di mandare là la marionetta che io vorrò come capo”. É una politica asiatica sanguinaria. Dovresti invece sederti e pensare, visto che sei il presidente e ogni settimana ci sono esplosioni. E invece dici “niente mi impedirà”. Questa non è forza, è una debolezza delinquente.

Perché Mosca non vuole che si inviino osservatori internazionali?
É chiaro che non li vogliono perché sono stati commessi delitti. Gli osservatori internazionali sarebbero testimoni, vedrebbero le donne violentate e capirebbero chi le ha violentate. Vedrebbero i cadaveri. Per questo l’accesso là è limitato al massimo, là non ci sono testimoni e si vuole che non ci siano.

Ma lei, non ha paura del Cremlino?
Tutti hanno paura ora, e anche io sono una parte del tutto. Anch’io ho paura, ma questa é la mia professione, e avere paura è una cosa tua personale. La professione esige che si lavori e si parli di quello che è il fatto principale nel Paese, e la guerra che continua è questo fatto principale. Perché lì muore la nostra gente. E avere paura o non averne è il rischio di questa professione.

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