La crisi climatica incide al punto che le Alpi cambiano profilo. Due gli indicatori che testimoniano quanto ormai sta accadendo ad alta quota: l’aumento, a un ritmo sempre più accelerato, della fusione dei ghiacciai – che stanno perdendo superficie e spessore, frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli – e l’aumento dei cosiddetti fenomeni di instabilità. Cioè frane, valanghe di roccia, di ghiaccio e colate detritiche.

È quanto emerge dalla seconda edizione di Carovana dei ghiacciai, la campagna realizzata da Legambiente con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano (Cgi) che arriva alla vigilia della giornata della montagna (11 dicembre). Emerge, fra l’altro, che tra il 1850 e il 1975 i ghiacciai delle Alpi europee hanno perso circa la metà del loro volume; il 25% della restante quantità si è perso tra il 1975 e il 2000 e il 10-15% nei primi 5 anni del nostro secolo. Preoccupa la situazione delle Alpi italiane dove in tutti i settori (occidentale, orientale e centrale) si registra un marcato regresso dei settori frontali dei ghiacciai, stessa sorte sta toccando anche alla formazione nevosa perenne del Calderone, sul Gran Sasso, in Abruzzo. Sulle Alpi orientali il massimo ritiro frontale (83,5 m) si è registrato nel Ghiacciaio di Saldura Meridionale, su quelle centrali si segnala il Ghiacciaio dei Forni la cui fronte è arretrata di oltre 48 metri.

Preoccupa anche l’aumento di frane. Secondo il catasto on line del gruppo di ricerca GeoClimAlp del Cnr-Irpi, nel periodo 2000-2020 nelle Alpi Italiane a una quota superiore ai 1500 metri si sono registrati 508 processi di instabilità naturale (frane, colate detritiche ed eventi di instabilità glaciale). Nel settore occidentale, l’area coperta dai ghiacciai è ancora ragguardevole (circa 160 kmq), ma la loro distribuzione è alquanto disomogenea. Qui i ghiacciai si stanno fortemente contraendo. Fenomeni di crollo in roccia e ghiaccio e deformazione delle morene possono comportare conseguenze significative anche per la percorribilità e la sicurezza della rete escursionistica.

I dati raccolti evidenziano una concentrazione di frane in alcune regioni: Valle d’Aosta (42%), Piemonte (18%), Lombardia (16%) e Trentino (15%). Tra gli ultimi episodi, spiegano Legambiente e il Comitato glaciologico italiano, nel 2019 la parete nordest del Monviso è stata interessata da un importante crollo in roccia. Per la sua naturale conformazione, anche l’area dolomitica è particolarmente soggetta a fenomeni di instabilità. Tra i tanti registrati, le scariche di detriti nell’area dolomitica del Sorapiss, le frane alla base del Civetta in provincia di Belluno. In Veneto una frana ha cancellato il Corno, una delle torri calcaree della catena del Fumante, rendendo quasi irriconoscibile uno dei paesaggi alpini più amati e frequentati dagli alpinisti. In provincia di Trento, dal Sass Maor si è staccato un pezzo di parete generando un imponente accumulo. Nel settembre 2020 un fenomeno analogo aveva interessato la parete ovest di Cima Canali, sulle pale di San Martino, mentre qualche mese prima la stessa sorte era toccata alle Torri del Cimerlo.

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