Milioni di metri cubi di acqua persa, un aumento del rischio di frane, coltivazioni non più adatte a certe temperature, rifugi che ad agosto restano a secco e intere economie locali in pericolo per la crisi delle stazioni sciistiche. C’è anche tutto questo dietro i ghiacciai che si ritirano e i boschi che sembrano inseguirli, a causa dell’innalzamento delle temperature. Così le mete degli alpinisti diventano sempre più difficili da raggiungere. E, anche per chi deve misurare gli arretramenti, l’impresa è ogni anno più pericolosa, perché più ad alta quota. Lo sa bene Stefano Benetton, laureato in Geologia con una tesi sul Ghiacciaio della Marmolada, il più importante delle Dolomiti e del quale, rispetto a un secolo fa, resta solo il 10%. Insieme al fratello Giovanni, che ha studiato Scienze naturali, Franco Secchieri e Giuseppe Perini fa parte del gruppo di operatori del Comitato Glaciologico Italiano e del Servizio Glaciologico del CAI Alto Adige che in queste settimane sta monitorando i ghiacciai dell’Alto Adige, nell’ambito della Carovana dei ghiacciai di Legambiente. Sono 13 i ghiacciai alpini sotto osservazione: quelli dell’Adamello (Lombardia e Trentino), della Val Martello nel Parco dello Stelvio (Alto Adige), il ghiacciaio del Canin in Friuli, il glacionevato del Calderone, nel massiccio del Gran Sasso (Abruzzo) e quelli del Gran Paradiso (Piemonte e Valle D’Aosta).

A CAMBIARE NON È SOLO IL GHIACCIAIO – I fratelli Benetton hanno monitorato in Val Martello, nel Parco dello Stelvio, per esempio, il Ghiacciaio Vedretta Lunga (Langenferner), che in 17 anni ha perso 20 metri del suo spessore. Stiamo parlando di un palazzo di 6 o 7 piani. La sua fronte si è ridotta di quasi un chilometro tra il 1979 e il 2019, con 28 metri di regresso solo tra il 2020 e il 2021. Alcuni cambiamenti si possono osservare a occhio nudo: “Ogni anno notiamo che c’è un innalzamento del livello del bosco, le prime piccole piante che arrivano a quote sempre più elevate e vanno a colonizzare le aree dove prima c’era ghiaccio. E pensare che agli inizi dell’Ottocento le comunità avevano paura dell’avanzamento del ghiacciaio, perché avrebbe messo a repentaglio coltivazioni e pascoli”. E poi ci sono le cascate, risultato della fusione, che crescono di volume a vista d’occhio. “Ma a volte i ghiacciai, sembra incredibile, si ritirano anche dall’alto verso il basso” aggiunge. Una regressione che ha conseguenze sempre più importanti sulla vita dell’uomo, anche perché coinvolge il deflusso delle acque e il suo stoccaggio. E questo ha conseguenze sulla disponibilità idrica e, quindi, su agricoltura, allevamento, bacini idroelettrici e turismo.

QUALCHE DATO – Come ricorda Legambiente, secondo diversi studi scientifici, “entro la fine del secolo la maggior parte dei ghiacciai potrebbe scomparire ed entro il 2050 quelli al di sotto dei 3.500 metri saranno destinati molto probabilmente alla stessa sorte”. Negli ultimi cento anni i ghiacciai alpini hanno perso il 50% della loro area. Di questo 50%, il 70% è sparito negli ultimi tre decenni. “Ogni anno sull’Adamello, il ghiacciaio più esteso d’Italia – spiega a ilfattoquotidiano.it Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente – spariscono 14 milioni di metri cubi di acqua, praticamente 5.600 piscine olimpioniche. E l’estensione della sua area è passata dai 19 chilometri quadrati del 1957 ai circa 17,7 del 2015”. In un secolo i ghiacciai del Canin hanno perso circa l’84% dell’area che ricoprivano ed il 96% del loro volume mentre “le grandi quantità di neve di questi ultimi anni non sono il segno dell’aumento della temperatura che si sta riducendo, ma di eventi estremi e, tra l’altro, compensano solo in minima parte gli effetti dei cambiamenti climatici”. Preoccupa anche lo stato di salute del Calderone, ghiacciaio appenninico quasi del tutto scomparso, tanto da essere declassato a ‘glacionevato’.

GLI EFFETTI SULLE COMUNITÀ – Tutto questo significa dei cambiamenti anche nella vita delle comunità che vivono in quelle vallate. “Ci sono famiglie che coltivavano frutti di bosco, come il mirtillo e alcuni tipi di lampone, ma che non possono più farlo perché le temperature non sono sufficientemente basse – spiega Vanda Bonardo – mentre ora si possono piantare a quote prima impensabili la vite e altri alberi da frutta”. Ma anche gli allevatori è da tempo che fanno i conti con il cambiamento climatico. Nel 2017 la germinazione dell’erba era già iniziata a fine aprile, in anticipo di un mese, “ma le precipitazioni nevose – racconta la responsabile Alpi di Legambiente – hanno bloccato la crescita. I pascoli si sono coperti di neve e, mentre la transumanza avviene normalmente a metà settembre, già a metà agosto molti pastori sono scesi a valle, perché non c’era erba”. Capitolo nero quello legato al turismo: “La durata della stagione sciistica si riduce sempre più e spesso i ricavi non riescono a coprire le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria”. D’altro canto, fino a non troppi anni fa sulla Marmolada si sciava anche in estate. Stefano Benetton ricorda il Ghiacciaio del Giogo, “dove si stanno registrando ritiri record che superano i 300 metri” e dove la nazionale italiana di calcio sciava anche nei mesi estivi “mentre ora non è più possibile”. D’altronde, come raccontato dal dossier NeveDiversa, sono oltre trecento gli impianti in sofferenza ad alta e bassa quota monitorati e oltre cento quelli dismessi, a cui se ne aggiungono altrettanti chiusi temporaneamente. Due anni fa, un pool di ricercatori ha analizzato le prospettive climatiche degli impianti che hanno ospitato le Olimpiadi invernali. “In uno scenario ottimistico – ha ricordato Legambiente – soltanto 13 dei 21 osservati sarebbero in grado di ripetere l’esperienza nel 2050, mentre gli altri 8 dovrebbero chiudere per mancanza di neve”.

GHIACCIAI FRAMMENTATI E VERSANTI INSTABILI – Oltre al ritiro dei ghiacciai, a preoccupare sono anche altri fenomeni “ossia quelli di disgregazione e frammentazione che stanno accelerando” spiega Stefano Benetton. Questo ha portato i 168 ghiacciai dell’Alto Adige a frammentarsi in 540 unità distinte distinte. Solo nel 2005 erano 330. Anche la velocità dei cicli di gelo e disgelo del permafrost rappresenta una minaccia: quando la neve si scioglie, l’acqua si infiltra nelle rocce e quando risale la temperatura, diventa ghiaccio e si dilata, rompendo la roccia e provocando la caduta di massi. Si chiama frost cracking. Ma la caduta di detriti è dovuta pure a eventi estremi. E un aumento delle frane può rappresentare un rischio anche a valle, se i detriti vengono trasportati dai torrenti durante le piogge. Tra il ghiacciaio di Vedretta Lunga e quelli laterali del Versante destro, la deglaciazione è stata accompagnata anche da fenomeni di instabilità sul fondovalle, come la disastrosa alluvione del 1887 che distrusse alcuni paesi della Val Martello. “Il maggior rischio di frane è un problema per escursioni e alpinisti, oltre che per edifici e infrastrutture” aggiunge Vanda Bonardo. E lo è per chi già deve salire sempre più ad alta quota per misurare l’arretramento. Per gli operatori del Servizio Glaciologico dell’Alto Adige, infatti, diventa sempre più complesso l’avvicinamento alla fronte per poter eseguire le misurazioni “perché prima – racconta Stefano Benetton – la parte terminale del ghiacciaio era più in basso e su un pendio più dolce, mentre oggi parliamo di pendii anche molto ripidi e, a volte, instabili. Per queste ragioni alcuni ghiacciai non vengono più monitorati”. La deglaciazione, poi, accompagnata dalla sempre maggiore instabilità dei versanti e dalla degradazione delle rocce incassanti sta contribuendo alla diffusione, anche sulle Alpi, dei ghiacciai neri. “Accade che dopo lo scioglimento della neve in ghiaccio – spiega Stefano Benetton – dalle pareti vicine cadano alcuni blocchi di roccia che si depositano e che l’apporto di blocchi sia superiore a quello di neve e ghiaccio”. Un esempio è il ghiacciaio di Solda, tradizionale buen retiro estivo di Angela Merkel “ormai completamente coperto di detriti, tanto da non essere più appetibile per gli Alpinisti”.

(foto Legambiente)

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