Non più solo mafia militare, ma interessata all’economia legale, in grado di infiltrarsi nell’agroalimentare per controllare il commercio ittico a Manfredonia e nella pastorizia a Mattinata, in aggiunta al narcotraffico incentrato a Vieste. In 32 sono stati arrestati nel Foggiano nell’inchiesta denominata “Omnia nostra” su richiesta dei pm della direzione nazionale antimafia e della distrettuale di Bari: 26 sono in custodia cautelare in carcere, gli altri ai domiciliari. Gli indagati sono 44, accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa aggravata dalla disponibilità di armi, traffico di droga, tentato omicidio, armi, favoreggiamento personale, estorsione e truffa, tutti reati aggravati dal metodo mafioso e compiuti per agevolare l’attività del sodalizio attivo sul Gargano. Tredici i provvedimenti di sequestro preventivo e per equivalente, per un totale di 6 milioni 945mila euro.

Stando all’indagine avviata nel 2017, il gruppo smantellato fa parte dei cosiddetti “Montanari“, una costola della famiglia Romito che dopo la strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017 – in cui persero la vita Mario Luciano Romito di Manfredonia e il cognato Matteo De Palma – si è riorganizzata spartendosi il potere con le famiglie Lombardi e Ricucci. Si tratta, secondo i pm, di un’organizzazione mafiosa fondata sul vincolo familiare: “Sai perché dicono che non esce un pentito? Perché è tutta una famiglia. Una famiglia significa sangue. Più fiducia di quello penso che non ce n’è”, diceva, intercettato, uno degli indagati. Le figure di vertice sono ritenuti Matteo Lombardi e Pasquale Ricucci (quest’ultimo ucciso l’11 novembre 2019), e Pietro La Torre, organizzatore con funzioni di raccordo con i vertici criminali di Mattinata e di Vieste. Sono emersi anche collegamenti con la batteria Moretti-Pellegrino-Lanza della Società foggiana.

“Il controllo su Vieste, strategica nell’ambito del narcotraffico, è diventato obiettivo primario, generando una contrapposizione armata, con oltre venti fatti di sangue negli ultimi cinque anni”, spiega in una nota la Dda di Bari, secondo cui il sodalizio controllava la vendita del pesce a Manfredonia attraverso due imprese, la Primo pesca srl e Marittica società cooperativa. Società “intestate a terzi, ma gestite da soggetti intranei in posizione di monopolio, ottenuta con “forme di assoggettamento violento nei confronti dei pescatori, costretti a consegnare il pescato in via esclusiva alla società Marittica, le cui operazioni di controllo venivano svolte da soggetti che presidiavano la banchina del porto di Manfredonia“. Le indagini hanno anche riscontrato una serie di azioni violente attribuite in via indiziaria a Michele Lombardi, figlio di Matteo, “per far desistere chiunque avesse lecito interesse a sfruttare parte dello spazio demaniale ritenuto utile da Lombardi per esercitare l’impresa di commercio all’ingrosso di pesce”. Emblematica la frase intercettata a Pietro La Torre: “Il mare è nostro“.

Un altro filone dell’indagine riguarda la “zona grigia” degli imprenditori che insieme all’organizzazione mafiosa tentavano di infiltrare la politica locale. “Un progetto di condizionamento politico-elettorale non andato a termine perché i protagonisti sono stati poi arrestati”, ha detto all’Ansa il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia (Dna) Giuseppe Gatti. A tal proposito è rilevante un passaggio di un’intercettazione tra un esponente del sodalizio e un imprenditore: “Su Foggia, con calma, se ci sono degli amici, per adesso dici di non prendere impegni a livello politico per le prossime elezioni che ci saranno nel mese di maggio, che dobbiamo portare un paio di nostri amici, compagni ce ne stanno un mondo”, dice il primo. “Intanto spargiamo la voce non ti devono dare solo la parola, ti devono fare l’elenco con i nominativi delle persone e le sezioni dove vanno a votare, poi al momento opportuno gli diamo il facsimile. Per adesso spargiamo la voce e raduniamo i consensi”.

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