Si sarebbe allontanato dalla località protetta senza avvertire il Servizio centrale di protezione. Nelle scorse ore, il collaboratore di giustizia Francesco Labate, detto “Checco”, avrebbe fatto perdere le sue tracce

La notizia è stata pubblicata sulla pagina Facebook del massmediologo Klaus Davi. Arrestato nei mesi scorsi nell’ambito dell’operazione antimafia “Metameria” contro la cosca Barreca, il pentito si sarebbe allontanato – sostiene Davi – “dopo aver dichiarato di voler ritrattare tutte le accuse fatte nei verbali riempiti davanti ai magistrati della Dda di Reggio Calabria”. Stando a quanto scrive il massmediologo, il collaboratore Labate “avrebbe inviato anche un video alla moglie per spiegare la sua scelta e una lettera al suocero, il boss ergastolano Filippo Barreca”.

La moglie del collaboratore di giustizia, Luana Barreca (anche lei agli arresti domiciliari perché coinvolta nella stessa inchiesta antimafia), “si sarebbe immediatamente rivolta – dice Davi – ai carabinieri per denunciare quanto stava avvenendo, anche per tutelare l’incolumità del marito che, avendo lasciato la località protetta nella quale si trovava, non può per ora godere della tutela dello Stato”.

Sulla vicenda, nessuna conferma da parte della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Al sesto piano del Cedir, sede della Direzione distrettuale antimafia, i magistrati non rilasciano alcuna dichiarazione. Tuttavia, dai primi accertamenti investigativi, effettuati dopo la notizia della scomparsa di Labate, sembrerebbe che il pentito non si trovi più presso la località protetta e abbia effettivamente fatto perdere le sue tracce senza comunicarlo al Servizio centrale di protezione.

Proprio per questo sarebbero stati avviati degli accertamenti per verificare se questo è avvenuto in maniera volontaria o se ci sia stata costrizione da parte di qualcuno. Se avesse voluto ritrattare le dichiarazioni rese ai magistrati della Dda, infatti, Checco Labate lo avrebbe potuto fare anche senza allontanarsi dalla località protetta. Sarebbe stato sufficiente comunicarlo ai pm Walter Ignazitto e Stefano Musolino che hanno coordinato le indagini contro la cosca Barreca e che lo hanno interrogato più volte.

In un contesto di ‘ndrangheta, quindi, è legittimo secondo gli investigatori pensare che possa non averlo deciso in maniera autonoma. Piuttosto, fino a quando il collaboratore di giustizia non verrà ritrovato, il sospetto è che qualcuno abbia condizionato la sua volontà. Di certo, dopo le accuse mosse in questi mesi nei diversi verbali di interrogatorio, a beneficiarne sarebbe proprio la cosca Barreca, guidata dal suocero, e altre famiglie mafiose reggine.

Stando alle indagini confermate dallo stesso Checco Labate, infatti, il collaboratore sarebbe stato “l’ambasciatore sul territorio deputato alla gestione della raccolta estorsiva” con il compito di commettere “danneggiamenti e intimidazioni nei confronti degli imprenditori e dei commercianti che non ottemperavano alle richieste della cosca”.

Nessuna conferma, anche, sull’esistenza del video inviato alla moglie e della lettera spedita al boss Filippo Barreca il principale indagato dell’inchiesta Metameria.

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