L’unica notizia che in questa settimana d’agosto ha fatto slittare in secondo piano la cronaca della pandemia è il rapporto delle Nazioni Unite sul clima. Si tratta di previsioni assolutamente drammatiche che, arrivando nel mezzo di un anno durante il quale le condizioni climatiche in diverse regioni del mondo si sono estremizzate, stanno avendo un grosso impatto.

In effetti, nel 2021 insieme al Covid, in alcune regioni del mondo, l’umanità è stata vessata da un nuovo nemico, il tempo atmosferico. Dalle copiose nevicate e severissime gelate del Texas alle alluvioni tedesche fino alle foreste greche in fiamme, si ha la sensazione che il clima sia fuori controllo e che il motivo sia attribuibile ai cambiamenti climatici creati dall’uomo. In altre parole, l’età dell’Antropocene, quando l’umanità e non più la natura è la forza dominante del pianeta, è la causa del caos climatico. Quali le soluzioni?

Prima di rispondere a questa domanda è bene precisare che cambiamenti climatici della magnitudine di quelli attuali sono già avvenuti in passato, ben prima della Rivoluzione industriale e certamente prima dell’era dell’Antropocene. Dal 1300 al 1600, ad esempio, gran parte del mondo è stata vittima di una piccola era glaciale. Nel corso di quei secoli la temperatura del pianeta è scesa di ben 2 gradi centigradi causando inverni freddissimi: sappiamo ad esempio che durante quel periodo grandi fiumi come il Tamigi o la Senna gelavano e la gente li poteva attraversare a piedi. Il vero problema però erano le alluvioni che si abbattevano sui raccolti in primavera e in estate facendoli marcire.

Le cause del raffreddamento del pianeta ventilate sono diverse: ridotta attività solare che ha prodotto meno radiazioni; l’aumento delle eruzioni vulcaniche; cambiamenti nelle correnti marine negli oceani; alterazione dell’orbita terrestre. In tutti questi casi a produrre i cambiamenti climatici non è stato l’uomo ma la natura.

Allora la popolazione mondiale poteva fare ben poco contro questi fenomeni; oggi la situazione è ben diversa, esistono tecnologie, strategie e politiche che possono cambiare le carte climatiche in tavola.

E veniamo alle soluzioni. In primis, contenere l’aumento della temperatura terrestre sotto 1,5 gradi centigradi entro il 2050 non basta a ripristinare gli equilibri del passato, ad esempio il clima del secolo scorso, per il semplice motivo che c’è bisogno di raffreddare il pianeta, non di limitarne il riscaldamento. Senza il raffreddamento il clima continuerà a degenerare e noi mediterranei dovremo abituarci ad estati torride, dove per mesi la temperatura non scenderà mai sotto i 30 gradi, con picchi di 45, 50 gradi centigradi; dovremo convivere con piogge torrenziali che producono allagamenti o grandinate dove palle di ghiaccio grandi come quelle da tennis precipitano sui raccolti agricoli.

Altro elemento da prendere in considerazione è la popolazione mondiale, oggi ad 8 miliardi ma prossima ai 10. E’ matematico che il consumo energetico dovrà aumentare. Certo le rinnovabili aiutano a contenere l’emissione dei gas serra, ma che dire dell’alimentazione? E’ plausibile supporre che i prossimi 2 miliardi di persone che popoleranno il pianeta saranno tutti vegani?

Per raffreddare il pianeta bisogna risucchiare dall’atmosfera i gas presenti ed azzerare la futura produzione industriale. Concentriamoci sul primo obiettivo: si può raggiungere con le Negative Emission Technologies, tecnologie che risucchiano i gas serra, una sorta di aspirapolveri ambientali. Ed ecco quelle disponibili al momento, anche se alcune contestate dagli addetti ai lavori:

– riforestazione e creazione di nuove foreste;

– bio-energia con cattura ed immagazzinamento del carbonio nel terreno – si tratta di un processo opposto a quello dell’estrazione del gas o del petrolio;

– cattura ed immagazzinamento dei gas serra meccanicamente, con macchinari che usano ventole per estrarre dall’atmosfera i gas;

– aumento del carbonio assorbito dal terreno usando varie tecniche agricole come la concimazione con il letame e le piantagioni di legumi;

produzione di biochar che viene prodotto dalla decomposizione delle biomasse, generalmente il legno, in assenza di ossigeno – quando viene aggiunto al terreno, ne aumenta la quantità di carbonio;

– trattamento di alcuni minerali, come la peridotite, che reagiscono positivamente con il carbonio.

Tutto questo costa molto, ma certo non di più di quanto dal crollo della Lehman i governi del ricco occidente hanno stampato e pompato in finanza e nelle loro economie durante le crisi degli ultimi 15 anni. Forse abbiamo sbagliato obiettivo. A che ci serviranno gli indici di Borsa o le nostre democrazie senza un pianeta vivibile?

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