Sono il pizzo e la droga il business principale di Cosa nostra. È quanto emerge dal blitz antimafia di polizia e carabinieri che all’alba ha portato a sedici fermi a Palermo, decapitando il mandamento di Ciaculli. “L’attività estorsiva non è mai cessata – ha spiegato il questore di Palermo Leopoldo Laricchia -. Racket e droga sono le due attività principali dei mafiosi e il racket serve anche a mantenere i detenuti in carcere. Anche durante il lockdown le estorsioni sono proseguite pur se con maggiore difficolta”. Sono cinquanta gli episodi estorsivi ricostruiti dagli investigatori della Squadra mobile, ma quelle avvenute sarebbero almeno il doppio, su queste, però, “non elementi probatori certi”, avverte il questore, spiegando che le richieste di pizzo coinvolgevano “tutti i codici Ateco”. Durante il lockdown, come emerge dalle intercettazioni, i commercianti avevano più difficoltà a pagare e a loro volta gli uomini di Cosa nostra avevano difficoltà a riscuotere il pizzo. “Dovevano giustificarsi con i parenti dei detenuti – ha concluso il questore – e affrontare le minacce delle mogli che dicevano ‘se non arrivano i soldi sapete cosa ci resta da fare, alludendo alla possibilità che i familiari si pentissero”. Le oltre 50 estorsioni documentate hanno riguardato supermercati, autodemolitori, macellerie, bar, discoteche, farmacie, panifici, imprese di costruzione, rivendite di auto ed altri ancora. Nessuna di queste attività ha mai denunciato le estorsioni alle forze dell’ordine. In alcuni casi, i commercianti si sono preoccupati di non figurare nel “libro mastro” delle estorsioni o di offrire all’estortore un escamotage per eludere eventuali controlli di polizia. Ad ulteriore testimonianza della forza intimidatoria dell’azione mafiosa, perfino durante l’emergenza epidemiologica, i pochi negozianti rimasti aperti, peraltro con volumi da affari assolutamente esigui, sono stati costretti a versare l’obolo mafioso

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