Cosa ci ha lasciato la dad. No, non c’è il punto di domanda. È che si tratta proprio del tormentone dell’estate. La grande domanda, il grande boh. Qual è l’eredità di un anno e mezzo passato a fare i conti con gli schermi? A parte l’esaurimento nervoso e una leggera propensione ad anticipare l’ora dell’aperitivo, intendo. Ora che la campagna vaccinale avanza, prima che le varianti inizino a farci più paura degli avversari agli Europei, il dibattito sulla scuola ha trovato un nuovo grande nemico contro cui scagliarsi e non è il più il covid, no. È la lezione frontale.

Dicesi di lezione frontale quella metodologia didattica che prevede la spiegazione di un argomento da parte di qualcuno che si presume lo conosca tanto da essere in grado di trasmetterne i contenuti. Ecco, questo tipo di lezione sembra essere il caro estinto della dad. Non si fa più, non si deve più fare, roba dell’Ottocento, i ragazzi vanno coinvolti, devono partire dall’esperienza, si impara solo se ci si diverte, si impara sul campo, bisogna mettersi alla prova, bisogna cooperare con i pari, bisogna rovesciare la classe, responsabilizzare, ma diversificando, semplificando ma senza penalizzare le eccellenze, il tutto con metà classe di fronte e l’altra metà a casa in quarantena. Ma speriamo di no. La quarantena, almeno.

Il resto sì, lo si fa o ci si prova. Mi chiedo da un sacco di tempo perché questo accanimento contro la lezione frontale, che è un metodo e mai il solo messo in atto (a meno che non si aspiri al suicidio professionale), non continui fuori dalla scuola. Quando si esce dall’aula ci tocca sorbirci un sacco di lezioni frontali. I corsi di aggiornamento sono per lo più lezioni frontali. Le conferenze, i convegni sono giornate di appassionanti o a volte mortali lezioni frontali. Io parlo e tu mi ascolti. I programmi televisivi con il divulgatore di turno sono sostanzialmente lezioni frontali, coadiuvate da qualche video che ha la fortuna di vedersi meglio che sulla lim della scuola. Quando vuoi lasciare qualcuno gli dici “caro, dobbiamo parlare”. E gli fai una lezione frontale, mica gli affidi un compito di realtà corredato da esercizi multimediali. Ci deve pur essere un momento nella vita in cui impari ad ascoltare con attenzione la persona che ti sta di fronte. Che impari a prendere appunti. Che capisci di non riuscire a prenderli e quindi devi accendere anche i neuroni rimasti nello spogliatoio per ricordarti più che puoi e magari approfondire dopo, con calma.

Ci sarà ben un momento in cui la scuola ti allena a concentrarti sul messaggio che l’altro ti vuole passare, e magari ci mette un po’ per arrivarci, diciamo un tempo superiore ad un reel di Instagram. “Eh, ma il prof è noioso”. Succede. “O è noioso l’argomento”. Succede. “Eh, ma la scuola deve trovare il modo di coinvolgere tutti”. Vero. Ma deve anche portarti a vedere un film che da solo non avresti visto, metterti davanti a una materia che non avresti mai immaginato ti piacesse, proporti un testo che dalle prime due pagine non di diceva granché.

E la lezione frontale, ogni tanto, ci vuole. Per introdurre, per fare il punto, per tirare un filo e spiacerebbe se tra le vittime di questa pandemia ci finisse anche lei, assurta a capro espiatorio dei problemi della scuola. Poi, per carità, possiamo anche eliminarla, avremo risolto un bel problema e va bene così. Ma poi ce ne restano mille.

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