Computer e smartphone ogni giorno ci aiutano a comunicare, studiare, ricercare, lavorare, e sono diventati ancora più importanti ora in tempo di pandemia. Ci permettono di evitare luoghi affollati, ci risparmiano viaggi inutili e relativa CO2, riducendo quindi anche il ricorso all’aereo e all’auto privata (pensiamo a quante viaggi facevamo prima per riunioni che ora, tranquillamente, facciamo da casa!). D’altra parte, questi strumenti hanno un pesante impatto ambientale, soprattutto se cediamo all’e-waste, al consumismo elettronico, cambiando modello ogni anno e gettando quello che non ci piace più.

Coltan e altri metalli rari, necessari ai nostri dispositivi, provengono da miniere di paesi in guerra, magari estratti a mani nude da bambini schiavi: in Congo esistono miniere occupate ormai da decenni da milizie paramilitari, legate ai tanti “signori della guerra” e finanziate sottobanco dalle imprese straniere di export. Le aziende multinazionali non acquistano direttamente dalle milizie del Congo, ma da una filiera che ha innumerevoli anelli e passaggi. Una catena difficile da spezzare e da controllare.

Server, computer, monitor, data center, infrastrutture di comunicazione e relativi sottosistemi, inoltre, consumano una grande quantità di energia e contribuiscono al riscaldamento globale. Ad aumentare questo impatto sono soprattutto gli smartphone, dato il tasso di crescita e la rapidità di sostituzione. I componenti contengono molte sostanze tossiche e, se gettati nelle discariche o non trattati adeguatamente, provocano danni irreparabili all’ambiente e alla salute. Secondo le statistiche realizzate a fine 2018 dall’Onu, ogni anno nel mondo vengono prodotti 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, i cosiddetti Raee (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) – smartphone e computer palmari in testa – di cui solo il 20% viene avviato al riciclo, il resto finisce in discarica o viene esportato nelle nazioni più povere.

Fermo restando che non possiamo e non dobbiamo fare a meno di pc e tecnologia per la comunicazione, cerchiamo di capire come riuscire a ridurne l’impatto ambientale, in un’ottica di riduzione e riuso. Nel mio ultimo libro Questione di Futuro, Guida per le famiglie eco-logica, (Edizioni San Paolo) cerco di spiegare come riuscire a limitare questo spreco. Le “4R” sono fondamentali anche nel mondo della tecnologia, come in ogni campo della nostra vita.

Ridurre: evitare di acquistare dispositivi di cui potremmo fare a meno. Ad esempio noi viviamo da anni tranquillamente senza tv, ma da quando la scuola è in Dad, con 4 figli, abbiamo aumentato il numero di pc a casa. Ora ne abbiamo uno fisso e due portatili.

Riusare: comprare il più possibile usato, ricondizionato, rigenerato. Si trovano facilmente nei piccoli negozi di riparazioni oppure nelle piattaforme online. In questo modo evitiamo che nuova materia prima venga estratta e l’ambiente intaccato.

Riparare finché si può. Esistono “Repair Café” o negozi artigianali capaci di rimettere in sesto anche i computer più malandati. Riparare pc è piuttosto comune, mentre riparare smartphone e tablet in caso di guasti è quasi impossibile perché le aziende li progettano inaccessibili. Invece di vendere i pezzi di ricambio modulari si cambia tutto il cellulare. Lo conferma l’ultima inchiesta di Altroconsumo, in cui sono stati aperti e smontati 10 smartphone e 4 tablet per valutare se sono riparabili in caso di malfunzionamenti. L’unica eccezione è “Fairphone”, che ritira telefoni usati, vende telefoni rigenerati, e facilita, con componenti modulari, la riparazione, oltre ad usare prodotti e minerali provenienti dal commercio equo e solidale o riciclati.

Riciclare o smaltire il pc come Raee presso il negozio dove si acquisterà il nuovo o all’isola ecologica, rigorosamente in modo differenziato. Se si tratta di un computer fisso, prima di gettarlo via, si potrebbe recuperare il monitor, la tastiera, gli altoparlanti, il case e l’hard disk. Esistono anche progetti solidali che recuperano i vecchi pc.

Infine, un consiglio ai genitori di preadolescenti. Provate a ritardare l’età per il primo smartphone è una questione pedagogica, di tutela del minore, ma anche una questione ecologica: lo smartphone personale è un oggetto dispendioso, delicato, impattante, che si può rompere facilmente (e i bambini, com’è giusto, giocano, corrono, cadono e spesso rompono oggetti). Se lo regaliamo a nostro figlio di 10 anni, saremo costretti a ricomprarglielo almeno (se va bene) una volta all’anno. Ben venga quindi la sobrietà e il riuso anche per i device elettronici!

Articolo Precedente

Con le zone rosse gli animali ripopoleranno le città: ormai si sentono a loro agio

next
Articolo Successivo

Nel nuovo Cts anche Donato Greco: nel 2008 nella task force per l’emergenza in Campania, sosteneva l’assenza di nesso tra rifiuti e cancro

next