Era il 29 gennaio 1886 quando all’Ufficio Brevetti dell’Impero Germanico fu registrata la Patent Motorwagen, prodotta dalla casa tedesca Benz&Cie: la prima auto (a 3 ruote) col motore a scoppio.

Da allora sono passati 135 anni. Siamo arrivati a quasi 2 miliardi di auto, di ogni forma e per ogni gusto, per lo più a benzina o diesel, concentrate nel nord del mondo. I mezzi a motore, su strada sono responsabili di una parte considerevole del riscaldamento globale, (circa il 22% delle emissioni europee), causano milioni di morti ogni anno nel mondo in incidenti stradali, inquinamento dell’aria e cementificazione.

Cos’è successo in questi 135 anni per renderci così schiavi dell’auto?

All’inizio del 900 a fianco delle auto a motore, iniziarono a diffondersi anche le auto elettriche, e forme di car sharing elettrico. Le auto elettriche erano facili da guidare, pulite e meno rumorose di quelle a motore. Ma poi, con la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi, e con la catena di montaggio (Ford Model T), le auto a benzina si diffusero molto più rapdamente, scavalcando quelle elettriche e ogni altro mezzo di trasporto. Petrolieri e case automobilistiche strinsero alleanze potentissime: negli anni Trenta, la General Motors insieme alla Firestone e alla Standard Oil, comprarono tutte le compagnie di tram elettrici delle varie città americane, dismettendoli e sostituendoli con linee di bus della General Motors: questi bus, oltre che inquinanti, erano anche poco capillari e poco efficienti. Nel 1949 la Corte Federale di Chicago condannò ad una multa la GM, Firestone e la Standard Oil per cospirazione criminale e violazione delle leggi antimonopolio. Ma ormai il danno era fatto.

“Se per una svista dell’immaginazione il motore a combustione non fosse mai nato, (…) economicamente non ci sarebbero stati problemi a creare una vasta rete ferroviaria, che si sarebbe potuta ramificare così da collegare ogni centro abitato; al loro interno poi le comunicazioni locali sarebbero state garantite da un fitto sistema di tram”, ricorda Colin Ward, (Dopo l’automobile, Elèuthera, 1997, p. 20). Nei primi decenni del Novecento in Italia la ferrovia era estesa capillarmente collegando tutti i paesini dell’entroterra e anche nelle città c’erano tram.

Molte linee di tram furono divelte negli anni del fascismo e oltre. Dei 23.200 chilometri di linee ferroviarie (1942), con un costante taglio dei cosiddetti “rami secchi” (linee secondarie), si arrivò ai 19’400 km di oggi (comprese le nuove linee alta velocità).

Sempre meno ferrovie, sempre più strade, fu questa la politica incontrastata seguita da tutti i governi di ogni colore, rendendo sempre più necessario l’acquisto dell’auto, pubblicizzata ininterrottamente come simbolo di libertà. Nel 1951 Togni, ministro democristiano, si vantava della “vittoria della strada sulla rotaia”. In Francia Pompidou tuonava “bisogna adattare la città alle auto!”. Un po’ ovunque l’urbanistica si piegò al predominio dell’auto, nacquero quartieri periferici dormitorio dove la vita era impossibile senz’auto, furono costruite vere e proprie autostrade in mezzo alla città, abbattuti quartieri storici, le piazze dei borghi divennero parcheggi, nacquero supermercati e ipermercati raggiungibili solo con l’auto.

L’Italia, grazie al soldalizio tra politica e potente industria automobilistica (Fiat), divenne ben presto il paese più motorizzato (e sedentario) d’Europa: 655 auto ogni 1000 abitanti nel 2019, per un totale di circa 40 milioni di auto (senza contare furgoncini e camion). Nel 2019 il 62,4% degli spostamenti era compiuto in auto, anche per tragitti brevi.

Per proteggere i bambini, vittime numero uno delle auto, è stata sacrificata la loro autonomia e i loro diritti: sempre più sedentari, sempre più “rinchiusi”, sempre meno autonomi. In Italia il 74% dei bambini è accompagnato a scuola in auto e circa 1 su 3 è in sovrappeso o obeso.

Non dappertutto però, è così: in Olanda, in Danimarca, Germania, iniziarono forti proteste già negli anni 70, contro la strage dei bambini”. I governi accettarono di imporre limiti alle auto in città. E così nacquero i quartieri car free, gli woonerf, le ampie pedonalizzazioni, le infinite ciclabili, i collegamenti efficienti di tram, treni e bus, il carsharing. Calarono gli incidenti, molte famiglie rinunciarono all’auto, le bici aumentarono, i bambini riconquistarono libertà, autonomia e benessere. Sempre più paesi stanno seguendo questo esempio, che è l’unica alternativa possibile.

Da alcuni anni anche in Italia è nato il gruppo Famiglie senz’auto (su fb): testimoniamo che vivere senz’auto (o con meno auto è possibile, bello e necessario) e insieme ad altre associazioni organizziamo campagne di pressione e sensibilizzazione.

Nessuno di noi vuole eliminare l’auto dalla faccia della terra, noi vogliamo il progresso.

Le uniche auto che resteranno in circolazione, saranno elettriche, piccole, condivise, e in numero molto inferiore all’attuale parco auto. Avranno dispositivi incorporati che limitino la velocità (ISA) e non entreranno nelle ZTL o isole pedonali. La gente si muoverà prevalentemente in bici, piedi, e mezzi pubblici, le città torneranno a misura di bambini e il verde tornerà al posto dei parcheggi.

Per chi vuole approfondire

Articolo Precedente

Renzi vola a Riad dai petrolieri e affossa il governo che vuole il Green deal. Coincidenze?

next