Nella scuola italiana l’insegnamento dell’educazione civica non si è mai seriamente realizzato per l’inadeguatezza dei governi e in particolare dei ministri preposti alla Pubblica Istruzione, che nel corso degli anni, con una serie di riforme contraddittorie, hanno “incasinato” ancora di più la nostra scuola. Essi non hanno mai capito quanto sarebbe utile ed importante una materia che – con pari dignità rispetto a quelle tradizionali – si ponesse l’obiettivo di formare cittadini civili ed informati, con una conoscenza non mnemonica della Costituzione, dei valori che l’hanno ispirata, di come essa trova o non trova attuazione in una società in cambiamento.

Al tempo stesso, l’educazione civica dovrebbe contrastare tutti quei comportamenti che vanno contro i valori su cui deve basarsi una società civile: partendo dalla condanna dell’evasione fiscale – con una chiara illustrazione dei danni che essa (150 miliardi l’anno, 40 in più dei 110 destinati a tutta la Sanità nazionale) arreca al bilancio dello Stato e ai contribuenti onesti – per arrivare ai quotidiani comportamenti incivili che rendono invivibili soprattutto le grandi città (ad esempio, le infinite infrazioni degli automobilisti e il mancato contrasto da parte della Polizia Municipale). Svolgendo quel ruolo che troppe famiglie non sono in grado di assumere.

Mai come nel caso dell’educazione civica vale la denuncia di Dante: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”. Le due leggi sulla educazione civica più recenti – salvo mie omissioni – sono la legge del 2008 di Mariastella Gelmini (Forza Italia, governo Berlusconi IV) e quella firmata dal ministro Marco Bussetti (leghista, membro del governo Conte I) nell’agosto del 2019.

Quest’ultima prevede almeno 33 ore l’anno di educazione civica e la preparazione e la scelta dei docenti, che potrebbero essere reperiti fra i docenti di storia e filosofia. Bussetti tentò anche di forzare i tempi chiedendo che la nuova materia fosse inserita già dall’inizio dell’anno scolastico 2019/2020, ma la sua richiesta fu bocciata dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.

E in questo caso – in una scuola che non è una azienda ipermoderna dalle decisioni lampo (e difficilmente potrebbe esserlo vista la complessità e a che la delicatezza della materia) – si può anche capire il rinvio: che invece non si giustifica un anno dopo, visto che ci sarebbe stato tutto il tempo per mettere a punto l’organizzazione necessaria per svolgere 4 ore al mese della nuova materia.

La realtà è che le due leggi citate (singolare il fatto che i proponenti siano stati una fedelissima di Berlusconi e un esponente della Lega) non sono state sostenute dal Ministero dell’Istruzione con adeguati interventi – anche finanziari – per la definizione dei programmi e la scelta e la formazione dei docenti. Né si sono viste significative campagne di stampa o dotti editoriali (che fine hanno fatto “i grandi laici”?) in favore di questa positiva innovazione. Il risultato è che l’educazione civica, nella scuola italiana, esiste solo sulla carta. E’ una materia vuota, in ogni classe e in ogni scuola si fa quel che si può e si vuole, non esistono i programmi né gli insegnanti.

Ora l’Uaar – Unione degli Atei e Razionalisti Italiani – denuncia un nuovo pericolo, che si è palesato a Roma, al liceo classico “Pilo Albertelli” (socialista e azionista, giustiziato alle Fosse Ardeatine) , dove alcuni insegnanti di religione si sono candidati ad insegnare anche l’educazione civica. L’Uaar ha chiesto l’intervento della ministra Lucia Azzolina perché questo rischio sia evitato.

Più che un rischio, una follia per chi, come me, si è fatto promotore nel recente passato di un appello per la laicità dello Stato e la riduzione dei privilegi economici della Chiesa: un appello promosso, assieme alla Associazione Luca Coscioni – di cui sono un dirigente da 15 anni – dalla stessa Uaar, dalla associazione del “Libero Pensiero Giordano Bruno ” e da “Critica Liberale” , firmato da centinaia di intellettuali e “recepito” in due distinte mozioni parlamentari (primi firmatari: al Senato Riccardo Nencini e alla Camera Riccardo Magi).

Nel nostro appello si chiedeva come prima cosa l’abolizione dell’ora di religione, coerentemente con il Concordato Craxi-Casaroli che aveva abolito il concetto della religione cattolica come religione di Stato (la storia delle religioni sarebbe rientrata – secondo la nostra proposta – nell’insegnamento della storia e della filosofia).

Dopo la protesta e l’iniziativa dell’Uaar, prepariamoci a contrastare tutti insieme questo tentativo e riprendiamo l’iniziativa, volta a riaffermare la laicità dello Stato e a ridurre i privilegi economici della Chiesa. Per farlo concretamente propongo di riprendere, con le associazioni laiche che sostennero il mio appello su questi temi, la nostra battaglia con una iniziativa solo apparentemente “minore”.

Come noto a tutti – ma ricordarlo giova – alla fine del 2018 la Corte Europea di Giustizia ha ingiunto allo Stato italiano di richiedere al Vaticano le somme dovute a titolo di Ici non pagate dalla Chiesa, per un totale che l’Anci stima in 4 o 5 miliardi di euro (e con l’elevato rischio, in caso di inadempienza, di una ennesima procedura di infrazione per l’Italia).

Il 20 settembre ho preso una iniziativa solitaria sostando per alcune ore davanti all’ingresso del Ministero dell’Economia con un cartellone in cui invitavo il ministro Roberto Gualtieri a compiere il proprio dovere reclamando dal Vaticano le somme dovute. Iniziativa – inutile dirlo – senza alcun seguito. Ma che propongo di riprendere “alla grande” l’11 febbraio, quando le massime autorità italiane andranno, come tutti gli anni, a “baciare la pantofola” del Papa, e dei Cardinali al suo seguito, nella sede della Ambasciata Italiana presso la Santa Sede.

Se cercate questa Ambasciata in rete, troverete questa frase, che la dice lunga sul servilismo dello Stato italiano verso la Santa Sede: “Si tratta dell’unico caso di una sede diplomatica distaccata sul territorio dello stesso Paese che rappresenta”.

Per una volta, però, non dovremmo essere “quattro gatti” come in precedenti occasioni. Per favore, non diamogliela vinta anche questa volta. Partecipate e fatelo sapere.

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