Quando un giorno, ancora alle elementari, mia figlia è tornata a casa dicendo che era stato Dio a crearla, ho intuito che tra me e l’insegnante di religione si era aperta una crepa difficile da riempire.

Quando l’altra figlia, qualche anno più tardi, mi ha informata che per lei la cosa più importante nella vita era Dio, ho capito che il problema non era l’insegnante, e forse neanche la religione, piuttosto il binomio scuola-religione.

Durante il colloquio di inizio anno con le varie insegnanti avevamo chiesto quale sarebbe stato il programma; benché agnostici sull’ora di religione cattolica a scuola eravamo comunque disposti a un insegnamento a largo spettro dove si andasse più in là della storia del battesimo di Gesù, dell’annunciazione o della risurrezione.

E in effetti, ci fu assicurato dall’insegnante in questione che dalla terza elementare si sarebbero affrontate anche le altre religioni del mondo.

Mussu-che?”, mi ha risposto mia figlia ieri quando le ho chiesto se avessero studiato l’Islam o se sapesse chi fossero i musulmani. Mia figlia è in quinta elementare.

L’anno scorso la più grande ha iniziato le scuole medie e d’accordo con noi ha deciso di non fare religione. Vittoria! Non avevamo neanche dovuto convincerla, dopo otto anni di concetti detti e ridetti e un numero imprecisato di schede da colorare su Maria e Gesù bambino, ne aveva avuto abbastanza.

Decideva sì in accordo con noi, ma ovviamente per diverse ragioni. La sua idea era di levarsi una “materia” per la quale non nutriva il minimo interesse. Non immaginava che il peggio doveva ancora venire.

Già dopo il primo mese si erano verificati i primi segni di insofferenza. Primo: era l’unica in classe a non fare religione, che già di per sé è indicativo in una classe di venti ragazzi. Secondo: le lezioni di educazione civica e ambientale, come era stato ventilato a inizio anno, erano state sostituite dopo poco con lezioni di tecniche mnemoniche su poesie a piacimento. E tutti sanno che un sonetto di Saba sta a un’undicenne come Sfera Ebbasta a mio nonno.

Ieri è entrata in casa e con uno sguardo di demoniaco trionfo mi ha detto che quest’anno farà religione, ne ha parlato con la professoressa e questa si è detta d’accordo. Che è un po’ come se chiedessi a un vegano se è d’accordo di abolire la vivisezione.

Successe a me l’identica cosa trent’anni fa. In prima media decisi di non fare religione, poi scoprii di essere l’unica della mia classe. Ricordo come fosse ieri quelle lunghissime e silenziose ore dentro uno stanzino piccolo, quasi in castigo, in compagnia di una professoressa di cent’anni dallo sguardo che Meryl Streep ne Il dubbio sembra simpatica. Forse era una punizione per entrambe.

L’anno dopo tornai a fare religione.

Qual è il senso dell’insegnamento della religione cattolica nell’Italia di oggi? Nessuno. Per tanti motivi: perché i precetti religiosi devono restare nelle sedi preposte, cioè gli oratori e le chiese, perché a livello di istruzione approfondire le scienze, la matematica o una lingua straniera è più utile al futuro degli studenti.

Perché scegliere di fare o meno religione è in pratica un ossimoro: è una scelta/non-scelta, chi la compie non è libero né esente da complicazioni future.

Di fatto quei pochi studenti che decidono di non farla diventano un problema da gestire per la scuola (spesso c’è la migrazione verso altre classi per mancanza di insegnanti), ma soprattutto è fonte di malessere per lo studente stesso che viene forzato a sentirsi diverso nella sua unicità.

Un paese che offre nel piano studi l’insegnamento della religione cattolica dalla scuola dell’infanzia alle scuole superiori è un paese che ha un problema con il concetto di laicità. La società laica ha conquistato il diritto al divorzio e all’aborto, ma per togliere il crocifisso dalle aule scolastiche dovremo aspettare ancora a lungo.

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