Ci sono almeno due fatti recenti che illustrano il pessimo rapporto tra Donald Trump e la scienza (e gli scienziati). Anzitutto, la denuncia di manipolazione che Anthony Fauci ha lanciato alla campagna di Trump. “Non riesco a immaginare che qualcuno… possa fare di meglio”, aveva detto Fauci a Fox News alcuni mesi fa. Il capo dell’agenzia per le malattie infettive si riferiva al lavoro della task-force anti-Covid, ma le sue parole sono state inserite in uno spot della campagna di Trump, come se Fauci lodasse il presidente. “In quasi cinquant’anni di servizio pubblico, non ho mai appoggiato un candidato politico”, ha precisato il medico. Nelle stesse ore lo Scientific American, la rivista di divulgazione scientifica più antica d’America, pubblicava un editoriale a firma dei direttori, in cui si invitava a votare il 3 novembre “per mettere fine agli attacchi contro la scienza”. Quindi, a votare contro Trump.

La storia dei rapporti di Trump col mondo scientifico americano è lunga e accidentata. Il Covid 19 è il capitolo più recente e tumultuoso di questa storia. Ci sono state le tirate del presidente su quanto la sua amministrazione sia stata “incredibile” nell’affrontare l’emergenza sanitaria; i continui tentativi di derubricare la pandemia a semplice “influenza”; il consiglio di farsi una bella lavata a base di ammoniaca per liberarsi dal virus; l’insofferenza per mascherine e distanziamento sociale; le dichiarazioni sull’arrivo imminente di un vaccino. Sono azioni e dichiarazioni che hanno sortito effetti potentemente negativi. Il presidente non è ovviamente il responsabile unico della crisi sanitaria, che ha ragioni molto più vaste e profonde; in primo luogo, le falle di un sistema sanitario che nei decenni è stato ridotto, smantellato, privatizzato. Ma sicuramente il presidente, con la sua reazione alla crisi sanitaria, ha moltiplicato i costi umani e sociali dell’epidemia.

Così Trump ha ostacolato la scienza – Il Covid è però, appunto, la punta dell’iceberg. Columbia University ha messo in piedi un progetto dal titolo “Silence Science Tracker” che registra i tentativi da parte dell’amministrazione per limitare e in certi casi minare la ricerca scientifica. I casi sono oltre 450, a partire dal gennaio 2017: 123 episodi di manipolazione dei dati scientifici; 72 tagli ai finanziamenti per la scienza; 145 atti di censura, 43 atti di ostacolo alla ricerca e così via. Stesso esito da un altro osservatorio, quello degli “Union of Concerned Scientists” (UCS). In un rapporto da poco pubblicato, gli scienziati dettagliano numerosi episodi di censura, politicizzazione della ricerca, scienziati rimossi dalle agenzie governative perché considerati troppo indipendenti. Tra gli episodi citati dall’Ucs, c’è l’opera di censura preventiva cui i funzionari di nomina politica del Dipartimento alla Salute hanno sottoposto i rapporti settimanali sul Covid-19 dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc). O ancora la visita di Trump alla California devastata dagli incendi, a metà settembre. “Comincerà a fare freddo, vedrete”, ha detto il presidente. “Mi piacerebbe che la scienza fosse d’accordo con te”, gli ha risposto il segretario alle risorse naturali della California. “Beh, non penso che la scienza ne sappia qualcosa”, ha tagliato corto Trump.

“Non è inettitudine, è sabotaggio”, ha spiegato Jeffrey Shamam, epidemiologo di Columbia University, commentando l’ostinato rifiuto da parte del presidente di considerare i dati della scienza. E per Christine Todd Whitman, una repubblicana che ha guidato la “Environmental Protection Agency” (EPA) durante l’amministrazione di Bush jr., “non si è mai vista una tale, orchestrata guerra all’ambiente e alla scienza”. Non sono mancati, va detto, episodi in controtendendenza, come per esempio il rilancio del programma spaziale americano e gli investimenti nella ricerca sull’intelligenza artificiale. Ma sono stati appunto episodi, che non intaccano la sostanza di quattro anni passati a contrastare opinioni e ricerche nei più vari campi della scienza. In primo luogo, sulla questione dei cambiamenti climatici che Trump, nel 2016, definì “una truffa” e che è probabilmente il settore in cui gli effetti della sua politica saranno più duraturi e distruttivi.

A partire dall’uscita dall’accordo di Parigi sul clima, l’amministrazione Trump ha perseguito una politica di costante deregolamentazione delle regole, cancellando soprattutto molti limiti alle emissioni industriali e delle automobili. Un’analisi del New York Times dello scorso luglio mostrava che in tre anni questa amministrazione ha fatto piazza pulita di oltre cento leggi approvate negli otto anni precedenti: in tema di inquinamento dell’aria, di estrazione mineraria e di perforazione, di inquinamento delle acque, di tutela degli animali. Rhodium Group, una società di consulenza newyorkese, ha calcolato che le politiche dell’amministrazione Trump potrebbero portare a un aumento di emissioni di diossido di carbonio per 1,8 miliardi di tonnellate entro il 2035. L’attacco a limiti e regolamentazioni ha sollevato dubbi tra gli stessi giganti dell’industria che dovrebbero godere della deregulation. Exxon Mobil e BP hanno contestato l’allentamento dei limiti alle emissioni di metano. E Ford e Honda si sono accordati con la California per più stringenti regole di emissione ai propri veicoli.

La strada verso l’isolazionismo scientifico – C’è un altro aspetto significativo della guerra alla scienza di questi anni. Gli Stati Uniti si sono per decenni avvalsi di un’immigrazione di giovani che da ogni parte del mondo arrivavano nelle università e nei grandi istituti di ricerca Usa. Le nuove regole sull’immigrazione hanno pesantemente limitato l’arrivo di queste forze intellettuali dall’estero. Lo scorso 24 settembre il Department of Homeland Security ha proposto una riduzione del tempo che uno studente straniero può trascorrere sul suolo americano – quattro anni -, con riduzioni ulteriori per coloro che arrivano da Iraq, Siria, Corea del Nord. L’isolazionismo politico si è cioè trasformato in un isolazionismo scientifico che rischia di essere alla fine distruttivo. Senza contare la cancellazione di commissioni e gruppi che fino a qualche anno fa affiancavano l’attività del governo americano con ricerche, studi, analisi. Erano circa mille, con 60mila esperti, nel 2018. A giugno 2019 un ordine esecutivo di Trump ordinava la riduzione di almeno un terzo delle commissioni. Il licenziamento di scienziati e ricercatori è poi stato costante. Un’indagine del Washington Post ha rilevato che nei primi due anni di governo, l’amministrazione Trump si è liberata di 1600 scienziati federali, soprattutto idrologi, ambientalisti, chimici, geologi, astronomi, fisici.

La pandemia ha quindi portato in primo piano una strategia che ha costantemente trascurato l’opinione della scienza. L’esito disastroso della crisi, con oltre 210mila morti, non sembra aver cambiato più di tanto il corso delle cose. Nonostante sia stato egli stesso colpito dal Covid, Trump non ha smesso di diffondere messaggi profondamente fuorvianti: come quello secondo cui la scomparsa del virus sia vicina. Peraltro, nei mesi più duri del Covid l’amministrazione ha proseguito nella sua opera di smantellamento delle regole. Ad aprile l’Epa, ormai diventata il braccio armato delle politiche di Trump, ha proposto di ridurre i limiti alle emissioni di particolato fine, che nel 2015 era la quinta causa di morte nel mondo e che in quello stesso anno, solo negli Stati Uniti, ha fatto oltre 88mila morti – più di quelli per diabete, influenza, malattie renali. La guerra mossa dall’amministrazione Trump alla scienza è destinata quindi ad andare ben al di là dei mesi del coronavirus. Saranno i prossimi decenni, quando Trump se ne sarà andato da un pezzo, a rivelare al mondo gli esiti distruttivi della politica di questi anni.

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