“Amore farà caldo stanotte non so se anche da te, bacio”. Erano le 23,51 dell’8 luglio 2018 quando dal cellulare del poliziotto Gianluca Castagna, in servizio presso il posto di polizia di frontiera del porto di Gioia Tauro, partì questo sms verso il numero di Zhao Chengtian. Una persona che in realtà non esisteva. Il destinatario era Rosario Grasso, rampollo dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta che capisce al volo e si da alla latitanza. Il messaggio era il segnale che stava per scattare l’operazione “Ares” e che Grasso era uno degli “obiettivi” della maxi-retata dei carabinieri contro le famiglie mafiose di Rosarno. Quando i militari dell’Arma bussarono alla porta di Grasso non lo trovarono. Lo stesso successe per altri sei indagati che dovevano essere arrestati e che riuscirono a scappare per restare irreperibili diversi mesi prima che gli investigatori riuscissero a catturarli. Il “Porco”, questo era il soprannome del poliziotto, li aveva favoriti. A scoprirlo è stata la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria al termine di una delicatissima indagine: l’ex sovrintendente è stato quindi arrestato dai carabinieri che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Tommasina Cotroneo su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del sostituto della Dda Sabrina Fornaro.

Come scrivono i magistrati, il “Porco” in realtà aveva favorito più volte i membri del clan: “In plurime occasioni consentiva a Rosario Grasso di accedere clandestinamente nell’area del porto di Gioia Tauro, mettendolo in condizione di prelevare la sostanza stupefacente occultata nei container trasportati dalle navi, e gli forniva sistematicamente notizie, acquisite dai sistemi informatici in uso all’ufficio di polizia di Frontiera, concernenti le movimentazioni dei container e le rotte delle navi di interesse del Grasso per l’importazione di stupefacente dall’estero”. Per fare uscire la cocaina dal porto, inoltre, quando il container del boss doveva essere sottoposto a controllo, Castagna riusciva a evitarlo simulando in un’altra zona dello scalo una segnalazione per la presenza di materiale esplosivo.

Per arrivare al poliziotto, gli inquirenti hanno tenuto in considerazione anche le risultanze investigative di altre due inchieste, “Pinocchio” della Procura di Torino e “Santa fé” della Dda di Reggio Calabria”. In entrambe era emerso che i trafficanti della ‘ndrangheta godevano della collaborazione di complici all’interno del porto di Gioia Tauro. Mentre nell’inchiesta reggina, infatti, si faceva riferimento a “batterie di operatori portuali”, in quella piemontese era spuntato un soggetto indicato quale il “Porco” facente parte delle forze di polizia. Dopo numerosi accertamenti, il delatore è stato identificato nell’ex poliziotto originario della provincia reggina ma residente in Sicilia. L’analisi dei tabulati e dei contatti telefonici con il boss di Rosarno è stata riscontrata anche dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Di Marte, proprio uno dei soggetti che grazie alla soffiata ricevuta da Rosario Grasso è riuscito a non sfuggire quella notte all’arresto. “Nel messaggio – racconta Di Marte – il Grasso specificava che ad avvertirlo era stato il ‘Porco’. Il ‘Porco’ per Rosario Grasso era una fonte attendibile … un appartenente alle Forze dell’Ordine… era un soggetto nella piena disponibilità di Grasso Rosario che si era sempre interfacciato con lui. Il nome è Gianluca Castagna. Ho potuto riconoscerlo nel 2016 perché è stato raggiunto da un’ordinanza questo signore … mi sembra “APE GREEN 2”. Il riferimento era a un’altra operazione antimafia nel corso della quale il poliziotto è stato arrestato assieme ai boss della cosca Commisso di Siderno. “La foto segnaletica sul giornale, – spiega il pentito – siccome l’avevo visto in diverse occasioni con il Grasso. Il Grasso mi aveva sempre riferito che questo soggetto era il Porco”.

Stando alle carte dell’inchiesta, inoltre, per i favori alla cosca Gianluca Castagna veniva sistematicamente stipendiato. Anche quando qualche affare di droga non andava per il verso giusto. Lo dice lo stesso boss Rosario Grasso in un’intercettazione del 2014 in cui si lamenta del fatto che il poliziotto voleva essere comunque retribuito: “Vedi che il porco mi ha messo alle strette che lui il suo faticoso lavoro lo vuole pagato lo stesso”. “La ripetitività delle condotte poste in essere dal Castagna, – scrive il gip Cotroneo nell’ordinanza di custodia cautelare – anche e soprattutto attraverso un sistematico abuso della funzione ricoperta e delle connesse prerogative, sono espressione dell’elevatissimo spessore della sua personalità delinquenziale. La sua appartenenza alla Polizia di Stato è stata un volano per intessere rapporti e legami con il contesto mafioso e con efferate associazioni criminali dedite con sistematicità al narcotraffico internazionale. Le informazioni fisiologicamente in suo possesso, o carpite in ragione della sua dimestichezza con le dinamiche organizzative della Polizia Giudiziaria (come avvenuto la sera dell’8 luglio 2018), hanno consentito all’indagato di impostare relazioni di reciproca utilità con esponenti mafiosi di spicco del contesto locale”.

Per il gip, in sostanza, “la sua non comune spregiudicatezza, la sua arroganza rispetto alle regole ed ai dettami di legge che doveva impersonare, il suo sprezzo del dovere di fedeltà allo Stato, la sua smania verso l’accumulo di ricchezza economica tanto da apparire spregiudicato anche agli occhi di personaggi mafiosi e di caratura illecita internazionale, la rete amplissima relazionale che è riuscito ad instaurare negli anni, la stabilità del suo apporto, la sua indole fortemente refrattaria al rispetto della legge e delle istituzioni da lui stesso rappresentate, inducono a ritenere che la sua pericolosità sociale sia ancora vivissima ed attualissima e, se non imbrigliata con la forma custodiale più estrema, possa concretamente dare prova di sé nel quotidiano svolgersi”. “È stata un’indagine lunga e complessa – è il commento del procuratore Giovanni Bombardieri – che ha chiesto uno sforzo tecnico imponente ai carabinieri del gruppo di Gioia Tauro ed al Ros centrale. Anche grazie alle dichiarazioni raccolte da altro indagato nel procedimento ‘Ares,’ proprio uno di quelli sfuggiti inizialmente alla cattura, è stato possibile ricostruire il coinvolgimento del soggetto arrestato, all’epoca in cui era in servizio presso il Porto di Gioia Tauro, in alcuni grossi traffici di sostanze stupefacenti riferibili a due pericolose organizzazioni criminali dì narcotrafficanti, già oggetto di processi a Torino ed a Palmi”.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Facendo riferimento ad articolo comparso sulla Vostra testata, mi preme porre in evidenza che il Sig. Giuseppe Di Marte, da me assistito nel procedimento “Ares”,
in nessun procedimento, ha mai assunto la veste di collaboratore di giustizia, come la Procura Distrettuale di Reggio Calabria mi ha formalmente confermato.

Avv. Fausto Bruzzese

Prendiamo atto della nota dell’avvocato Bruzzese che ci informa che il signor Giuseppe Di Marte non è un collaboratore di giustizia. L’equivoco è nato dal fatto che così è riportato nell’ordinanza di custodia cautelare dove, a pagina 148, i magistrati utilizzano questo termine probabilmente non in senso tecnico ma solo in relazione alle dichiarazioni rese da Di Marte ai pm.

Lu.Mu.

Articolo Precedente

Gli striscioni, le spedizioni punitive e la pax per non lasciare “la curva vacante”: così la mafia si muoveva tra i tifosi del Palermo calcio

next