Dissertando su Stati “virtuosi” e Stati “dissoluti”, ho riscontrato similitudini tra alcuni paesi europei e la miriade di isole e isolette che costellano il Mar dei Caraibi: da Cuba e Repubblica Dominicana, le più popolate con circa 11 milioni di abitanti a testa, alla minuscola Monserrat che non arriva a 6000, le differenze del corpo sociale e nelle strategie di governo incidono notevolmente sulle posizioni in classifica. Tra le “formiche”, possiamo annoverare le isole anglofone che fanno parte del Caricom (Caribbean Community) il Mercato Comune Caraibico, cioè Trinidad & Tobago, Antigua, Barbados, Dominica, Grenada, Montserrat, Saint Lucia, St. Kitt, Anguilla e St.Vincent.

Queste piccole nazioni mantengono un assetto economico solido con disparità meno accentuate rispetto alla Giamaica per esempio, che pur facendo parte del medesimo Statuto è sicuramente la “cicala” del gruppo, con un debito pubblico fuori controllo e diseguaglianze di reddito mostruose, che consentono a una sparuta oligarchia di possedere il 70% dei mezzi di produzione e del patrimonio immobiliare e terriero. Come dire, Germania e Nord Europa da una parte, Italia dall’altra, a prescindere dalle proporzioni geografiche. E l’attuale pandemia non sta facendo altro che allargare questo solco già incolmabile.

Viaggiando dentro una bolla

Venerdì scorso, i leader di governo delle isole menzionate hanno deciso di formare un corridoio aereo che consenta di trasportare da un’isola all’altra i rispettivi abitanti, nel tentativo di resuscitare un turismo che in questo periodo è morto e sepolto. Questa iniziativa è stata denominata “Travel Bubble”. Condicio sine qua non per accedere a tale corridoio è quella di non aver registrato casi di Covid negli ultimi 14 giorni, con una tolleranza massima di poche unità ma zero decessi.

Il vantaggio, unico al momento, per i viaggiatori sarà quello di potersi spostare ovunque all’interno della “bolla” senza dover esibire risultati negativi di tamponi che sono invece imprescindibili per gli scarsi turisti che si arrischiano a volare di questi tempi, dibattendosi tra cancellazioni senza preavviso e rifiuti d’ingresso causati da test eseguiti fuori tempo massimo. D’altro canto, le “cicale” classiche del turismo caraibico sono invece tagliate fuori da questa possibilità: la Repubblica Dominicana è falcidiata dalla pandemia, con 110.000 casi e circa 2100 morti.

Il nuovo presidente Luis Abinader, di cui ho riportato i punti salienti del discorso inaugurale a Santo Domingo, ha introdotto di recente un’assicurazione sanitaria con ricovero e cure mediche a carico dello Stato per i turisti che dovessero ammalarsi in suolo dominicano, più il volo di rientro gratuito nel caso perdessero quello originale. Tuttavia, con il 90% delle strutture alberghiere chiuse e un coprifuoco che inizia alle 19 fino alle 6 del mattino seguente, la prospettiva di viaggiare adesso non è certo allettante.

E la Giamaica? Aveva cominciato bene in aprile limitando i contagi, dopo aver chiuso i confini e imposto un lockdown severo alla popolazione. Purtroppo la frenesia del politico demagogo di passare all’incasso elettorale dopo il primo successo ha fatto il danno. Dopo una campagna forsennata, con il giorno delle votazioni fissato proprio durante il picco del virus, Andrew Holness, il primo ministro dei Laborites (i laburisti, che qui però rappresentano gli interessi dell’oligarchia dominante e il privatismo più sfrenato) non ha avuto modo di festeggiare: tempo due settimane, il Covid ha finito il suo lavoro.

Grazie alla promiscuità elettorale, le poche centinaia di casi sono diventate 5500, con circa 80 decessi, che nei ghetti potrebbero essere molti di più, visto che lì nessuno si prende la briga di andare ad appurare le cause reali delle morti, dovute all’impossibilità della gente povera di pagarsi le cure di una sanità quasi totalmente privatizzata. Tra l’altro, in questi giorni stanno uscendo allo scoperto nuovi altarini post elettorali: voti comprati frugando nella miseria più disperata. Gente prezzolata, sovente senza documento d’identità, a cui è bastato giurare su una Bibbia portata ai seggi dai candidati per poter accedere alle urne.

Quanto piace la Bibbia ai demagoghi nostrani ed esteri: da Salvini a Trump, da Bolsonaro a Jeanine Añez – presidente pro tempore in Bolivia – che la sventolava durante il golpe dello scorso anno (e che ora l’ha rimessa in baule dopo il ritiro annunciato dalla prossima contesa elettorale di ottobre) fino ai laburisti fasulli, costoro cercano sempre di arruffianarsi la Chiesa per farsela alleata e complice.

Scacco alla Regina

Talvolta le migliori sorprese vengono proprio da chi meno te lo aspetti: due delle isole più politically correct delle West Indies – a cui appartengono le ex colonie anglofone (ma anche francofone) – Barbados e Cayman Islands, hanno infranto l’etichetta in modo assolutamente inaspettato, essendo ancora protettorati inglesi: difatti, tecnicamente fan parte del Commonwealth Realm, con la Regina Elisabetta quale Capo di Stato. Le banconote emesse dalle banche locali portano impresse nella filigrana il suo profilo reale. Eppure, ecco che le Cayman Islands aprono all’improvviso ai matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Ciò avviene nei Caraibi inglesi, dove ancora è in vigore la legge coloniale omofoba Buggery Act – anti-sodomia – che permette alla polizia, allertata o meno, di invadere la privacy di una coppia di omosessuali e arrestarli senza mandato anche a casa loro, per infrazione della suddetta legge. Giamaica, Belize (ex British Honduras), Trinidad & Tobago, Bahamas e diversi altri hanno (o avevano) in vigore questa legge medievale. La Giamaica è comunque quella che ci va più duro con i gay, e qualcuno di loro è stato pure linciato in pubblico. Il Belize ha abolito il Ba tre anni fa, ma che uno dei paesi più legato alla Corona decida di legalizzare il same-sex marriage è sorprendente.

Chi però ha sconfinato senza possibilità di ritorno, dissacrando la figura suprema dell’Impero Britannico, è stata la Prima Ministra delle Barbados, Mia Mottley, che ha dichiarato l’intenzione del governo di rimuovere la Regina d’Inghilterra dal ruolo di capo di Stato, e diventare così una repubblica, il 30 novembre 2021. Alcuni attivisti giamaicani ritengono sia ora di seguire le orme delle Barbados, cancellando un simbolo che comunque rappresenta la tirannia del passato e il ricatto costante del presente.

Poiché non solo la Regina è ancora ufficialmente Capo di Stato nelle ex colonie inglesi (in Barbados vedremo come andrà a finire, però almeno il Queen-exit è stato annunciato) ma oltretutto la Giamaica, a livello giuridico, dipende ancora – in una qualsiasi controversia ad alto livello – dal giudizio finale del Privy Council, tribunale inglese di stanza ai Caraibi, che conta più della Corte Suprema del paese ospitante. E la sentenza che ha tolto a Indecom (l’agenzia giamaicana che indaga sui Police Killings) la facoltà di arrestare i poliziotti criminali lo ha tristemente dimostrato.

La Commissione degli Affari Esteri del Regno Unito ha apertamente accusato Pechino di aver influito sulla dichiarazione della Prima Ministra delle Barbados riguardo la rimozione di Queen Elisabeth da Capo di Stato dell’isola, e la conseguente trasformazione di quest’ultima in Repubblica Costituzionale. Le Barbados, così come la Giamaica, Trinidad & Tobago, Bahamas e altri stati minori fanno parte della joint venture promossa dalla Cina nell’ambito della costruzione di infrastrutture in queste isole – già realizzate in parte – quali autostrade, porti, e telecomunicazioni. Il progetto è noto come Beijing’s Belt and Road Initiative.

Foto e testi © F.Bacchetta

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