Macerie, edifici distrutti e paesaggi spettrali. Girando tra Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, dal 24 agosto 2016 il panorama sembra essersi cristallizzato, come in un quadro. Dopo quattro anni e quattro commissari diversi, la ricostruzione nelle aree colpite dal sisma del centro Italia, è ancora una chimera. Solo poco più del 3% delle 80mila abitazioni dichiarate inagibili è oggi di nuovo utilizzabile, anche se, va detto, le domande inviate per accedere al contributo per i lavori sono state appena 13.900. Intanto 41mila persone sono ancora senza casa e vivono grazie all’assistenza statale con un contributo per l’affitto, in una soluzione abitativa d’emergenza, in alberghi o container. E non va meglio nella ricostruzione pubblica. Solo 86 lavori, su 1405 interventi finanziati, sono stati conclusi. Di questi 17 sono scuole, ma ne mancano ancora oltre 230 da sistemare. Anche i cantieri delle chiese, patrimonio culturale di enorme valore nell’area colpita dal terremoto, procedono a rilento: su 942 interventi finanziati, oltre 740 devono ancora cominciare. Ma, assicura il commissario Giovanni Legnini, succeduto a Piero Farabollini, Paola De Micheli e Vasco Errani, le nuove ordinanze varate da febbraio ad oggi, insieme con alcune norme inserite nel decreto semplificazioni, nel Cura Italia e nel decreto Agosto, sbloccheranno l’impasse. Secondo Legnini, ex vicepresidente del Csm ed ex senatore dem, entro la primavera del 2021 apriranno almeno altri 5mila cantieri grazie alle procedure ora sburocratizzate. Intanto, causa Covid, tutti i lavori sono bloccati da oltre sei mesi, come sottolineano anche i professionisti, che ora, contenti delle nuove ordinanze, temono però l’effetto imbuto. “Ci sono imprese che hanno fatto incetta di lavori – spiega al Fatto.it Paolo Moressoni, del consiglio dell’ordine degli architetti dell’Umbria – Se ora li sbloccano tutti insieme potrebbero non essere in grado di reggere il carico. Senza dimenticare che alcune aziende hanno dato disponibilità due anni fa, non è detto che oggi possano ancora effettuare i lavori”.

La ricostruzione privata: pochi cantieri conclusi e solo 2mila in corso. Ancora 63mila interventi senza richiesta di contributo
Ritardi nelle risposte, ritmi lentissimi, e una burocrazia lunga che, spesso, ha portato i cittadini a desistere anche solo dal presentare la domanda di richiesta di un contributo per la ristrutturazione delle proprie abitazioni distrutte. È questo il mix fatale che, a quattro anni dalla prima scossa di terremoto che ha fermato l’orologio di Amatrice alle 3.36 del 24 agosto, fa sembrare tutto immobile. Una situazione che va cambiata, come ha sottolineato anche il commissario Legnini durante una conferenza stampa a due giorni dall’anniversario, soprattutto visti i numeri. I dati (raccolti fino al 30 giugno ndr.) parlano da soli: dal 2016 sono state presentate 13948 domande per ottenere un contributo economico per iniziare i lavori, di queste 9687 per danni lievi e 4261 per danni gravi. Ma, secondo il censimento della protezione civile, erano 80mila gli edifici che necessitavano di interventi, di cui poco più di 30mila per danni lievi e poco meno di 50mila per danni gravi. Le stesse richieste di contributo, poi, sono ferme al palo: quasi 8mila giacciono negli uffici speciali per la ricostruzione delle quattro regioni colpite, in attesa di essere vagliate, mentre le restanti, già accettate, si dividono tra cantieri in corso d’opera (2758) e lavori terminati (oltre 2500). Di fatto, quindi, solo il 18% delle richieste ha trovato la propria naturale conclusione in un’abitazione di nuovo agibile. Mentre la percentuale si abbassa fino al 3% se si tiene conto del totale delle case che avrebbero bisogno di lavori.

Il rischio è quello di non ricostruire più. I terremotati che hanno subito danni lievi, infatti, hanno tempo fino al 20 settembre (anche se il Commissario ha chiesto all’esecutivo di prorogare il termine), per presentare la richiesta di contributo. Pena la perdita degli aiuti statali per poter continuare a vivere, come il contributo di autonoma sistemazione, cioè un assegno mensile per pagare l’affitto, o il diritto a vivere nelle Soluzioni abitative d’emergenza, le casette. Ma in molti potrebbero non richiederlo mai. Secondo l’architetto Moressoni, pesa soprattutto la normativa differenziata tra comuni all’interno del cratere e fuori cratere, ma comunque colpiti. Secondo l’attuale legge, infatti, per sanare piccoli abusi, “come lo spostamento di una finestra o di una porta”, spiega al Fatto.it, “i cittadini dentro al cratere hanno una procedura agevolata, con sanzioni ridottissime e senza il penale”, mentre quelli fuori cratere, “vanno in ordinario”, e quindi è prevista una “denuncia penale e una sanzione piena”. “E questo per molti è un blocco”, dice ancora Moressoni. Ma non solo. Molti, racconta, dopo tutti questi anni “si sono rifatti una vita”. Lontano quindi dalle aree del sisma, lontano dai Sibillini e lontano dall’entroterra, creando terre fantasma e andando a popolare le coste.

Un colpo di acceleratore a questo ritmo lento, forse troppo, è stato dato dalle ultime ordinanze emesse dalla struttura commissariale. In primis l’ordinanza 100, di maggio 2020, che ha già fatto vedere i primi frutti. La nuova norma alleggerisce il lavoro degli uffici speciali regionali, dando la possibilità ai singoli professionisti che presentano il progetto di autocertificare le conformità urbanistiche e di determinare l’importo del contributo per la riparazione o la ricostruzione dell’immobile. Di fatto, quindi, si annulla il passaggio della pratica istruttoria nelle mani dell’Usr regionale, salvo dei controlli a campione, e i termini per la concessione del contributo sono fissati a un massimo di 110 giorni, nei casi più complessi. Resta però il “fardello di 8000 pratiche già negli uffici”, come ha spiegato Legnini in conferenza stampa. Per questo nelle nuove ordinanze emanate il 21 agosto è prevista la possibilità per i professionisti che hanno già inviato la richiesta di contributo agli uffici speciali, di inviarla nuovamente, cosicché la pratica “passi sotto la procedura dell’ordinanza 100”. Con la pratica modificata, ha concluso il Commissario, al professionista vengono “riconosciute le nuove tariffe”. L’obiettivo è chiaro: arrivare ad aprire entro la primavera 2021 altri 5mila cantieri, “con un ritmo crescente nei mesi e negli anni successivi”.

“La pratica così è effettivamente più veloce – conferma Moressoni – E credo che vedremo molti risultati”. Ma non mancano alcuni scetticismi. “Non abbiamo ancora esperienza sui controlli – specifica – né sulla loro natura, però sono quelli che mettono più pensieri ai professionisti, vista l’esperienza degli ultimi anni con gli uffici speciali”. E non aiuta l’emergenza Covid, continua, che “ha peggiorato la situazione”. Dovendo certificare la conformità edilizia urbanistica degli edifici, “dobbiamo accedere ai Comuni per ritrovare atti precedenti” e, sottolinea ancora, “molti sono ancora chiusi, o in smartworking, comunque difficili da raggiungere”. Il problema maggiore, però, è quello del rischio imbuto. “Potremmo ritrovarci senza imprese che fanno i lavori – dice al Fatto.it – Quelle che hanno fatto incetta di cantieri, sbloccandosi tutti insieme non saranno in grado di seguirli. Se né tecnico né committente trovano l’impresa, c’è rischio che si blocchi di nuovo tutto”.

La ricostruzione pubblica ferma. E le chiese passano alla procedura per i privati
Le chiese inaccessibili, chiuse dopo quattro anni, mentre si cerca di riqualificare l’area rendendola attrattiva per i turisti. E poi, ancora, le scuole, molte delle quali ancora “sistemate” all’interno di moduli container. Anche la ricostruzione pubblica è al palo. Se possibile, ancora più della privata. Il motivo, ha spiegato Legnini, è “la complessità delle procedure”, ma anche “la frammentazione delle stazioni appaltanti” e la difficoltà di molti Comuni di dedicare “alla ricostruzione professionalità adeguate”. Dei 2,1 miliardi impegnati, i soldi effettivamente dati alla ricostruzione pubblica sono solo 200 milioni di euro. Cioè il 10%. A questi si aggiungono 27 milioni di euro concessi direttamente ai paesi colpiti per far fronte alle piccole opere o a interventi già avviati. Sono 1405 gli interventi necessari individuati dalle quattro regioni colpite, di questi 250 riguardano le scuole, ma solo il 12% è stato concluso o avviato. Gli altri sono ancora fermi, tra procedimenti non avviati e quelli in progettazione.

A questi poi si aggiungono 172 micronazioni e 94 perimetrazioni nei centri più colpiti, già eseguite, oltre ai danni a 942 chiese. Proprio queste, simbolo del patrimonio artistico di gran parte dell’entroterra e della zona dei Sibillini, ha assicurato il commissario, necessitano di un’ulteriore accelerazione. Sono 100, al momento, gli edifici di culto ripristinati, mentre in 45 è presente un cantiere attivo. Per il restante 80%, invece, non è stato avviato alcun procedimento. “Per questo abbiamo introdotto un’ulteriore ordinanza che attua le norme contenuto nel decreto semplificazione, disciplinando ex novo l’affidamento della progettazione e dei lavori”. In pratica diocesi e enti ecclesiastici potranno disporre direttamente, o con gare ristrette, dei tecnici, come avviene per la ricostruzione privata. Anche se, specifica la struttura commissariale, “il finanziamento resta a carico della contabilità del Commissario”.

I soldi messi in campo: 500 milioni per il privato 200 per il pubblico. E ora 5 milioni ai comuni
Per la ricostruzione saranno spesi miliardi di euro. Ventidue quelli che erano stati previsti dal Dipartimento di protezione civile, sulla base dei primi danni. Ad oggi, però, sono stati stanziati circa 3 miliardi di euro, di cui 2 miliardi e 160 milioni per 2300 interventi di ricostruzione pubblica (tra cui le chiese), e 900 milioni di contributi concessi ai privati. Ma i soldi effettivamente erogati sono appena appena 726 milioni, di cui 526 da Cassa depositi e prestiti per la ricostruzione privata e 200 dal Ministero dell’economia, per quella pubblica.

Un’ultima “impennata” di fondi è stata versata proprio nel primo semestre di quest’anno, si legge dall’ultimo report rilasciato dalla struttura commissariale, nonostante la riduzione e il blocco delle attività dovute al coronavirus. “Hanno inciso le decisioni di concedere ai professionisti che avevano già presentato i progetti – scrivono dall’Ufficio speciale – l’anticipo del 50% dei loro compensi, e di pagare alle imprese e ai tecnici tutti i lavori fatti nei cantieri fino al momento del blocco Covid-19 a prescindere dallo stato di avanzamento dei lavori previsto dal contratto”.

Ulteriori 5 milioni di euro, poi, sono stati impegnati proprio con le ultime ordinanze e serviranno ad aiutare i sindaci in difficoltà “per affiancarli, per accelerare, per fare uno studio che manca o per completare i processi di pianificazione”. Mancano, infatti, quasi del tutto i programmi speciali di ricostruzione da parte dei comuni, spesso bloccati per assenza di fondi. Piani che, spiega al Fatto.it, l’architetto Moressoni, “concedono al comune di attivare una serie di deroghe” al piano regolatore, accelerando quindi ancora di più la ricostruzione, perché di fatto “si interpella la sovrintendenza per un paese intero” invece che “per un singolo progetto nel paese”.

Gli sfollati: ancora oltre 41mila senza casa
Intanto, però, mentre la fine della ricostruzione sembra un miraggio, e lo stato di emergenza, con il decreto Agosto, è prorogato a fine 2021, nella zona del terremoto vivono ancora 41.600 sfollati, secondo gli ultimi dati. Uomini, donne, bambini e anziani che hanno affrontato la pandemia e l’isolamento in un hotel, in una casetta abitativa d’emergenza, in una casa non loro, perché presa in affitto, o addirittura ammassati all’interno di container, dove l’emergenza Covid sembra avere i primi risvolti negativi. Sono oltre 7500 i cittadini che vivono ancora nelle casette di legno, quelle, per intenderci, dove non c’è privacy e si lotta ogni inverno contro il freddo, le muffe, l’umidità. In 615, invece, hanno passato i loro ultimi quattro Natali all’interno di una camera d’albergo, o al massimo in una hall. In 818, per lo più agricoltori o allevatori, invece, vivono da quattro anni all’interno dei Mapre, moduli abitativi prefabbricati rurali emergenziali. Anche questi hanno avuto, negli anni, evidenti problemi strutturali, in primis le muffe. Trecentoquattordici terremotati, poi, sono costretti a condividere bagni e mensa: sono stati sistemati in container, dove la mancanza di privacy è l’ultimo dei problemi e dove, denunciano le associazioni di cittadini nate in questi anni, con l’emergenza Covid la tutela sanitaria è venuta totalmente a mancare. In 440, inoltre, dormono ancora in strutture comunali, che possono essere anch’esse casette, o abitazioni di edilizia popolare. La maggior parte, infine, percepisce il Cas, cioè il contributo di autonoma sistemazione. Varia a seconda del nucleo familiare e arriva, al massimo, a 900 euro al mese. Un sussidio che pesa, anche lui, sulle casse dello Stato per milioni di euro l’anno. Tutti aspettano che la loro casa venga ricostruita. Ma, anche se i tempi sembrano aver subito una prima accelerata, l’attesa è ancora lunga.

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