La ricostruzione è ferma. A tre anni esatti dalla prima scossa di magnitudo 6.0 con epicentro Amatrice e Accumoli, nei comuni del Centro Italia che hanno subito oltre il 50% dei danni – quelli sostanzialmente distrutti – solo il 4% degli edifici, pubblici e privati, è stato rimesso in piedi. Macerie, spopolamento, intoppi burocratici, ritardi amministrativi e quella paura che, prima o poi, la storia possa ripetersi, ha contribuito a far sì che le lancette rimanessero immobili alle 3:36 di quel 24 agosto 2016. Quel giorno morirono 299 delle 303 persone che, in totale, persero la vita alla fine di quello sciame sismico, “concluso” convenzionalmente con il sisma 5.1 del 18 gennaio 2017 a Montereale.

Ma i paesi dell’Appennino, fra cui rinomati centri turistici come Amatrice e Leonessa, e altri comuni devastati dal terremoto come Arquata del Tronto, Accumoli, Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera, non sono mai ripartiti davvero. Anzi, in alcuni casi parliamo di autentiche città fantasma. “Gli urbanisti e i tecnici specializzati con i quali ci confrontiamo, stimano che si tornerà alla normalità fra 20-25 anni“, rivela Sabrina Fantauzzi, fondatrice del comitato ‘Illica Vive’, sottolineando che “i nostri comuni salteranno una generazione”. Mentre gli ingegneri che hanno lavorato alla ricostruzione dopo il sisma dell’Aquila, pochi giorni fa hanno inviato al commissario governativo, Piero Farabollini, un dossier tecnico – di cui Ilfattoquotidiano.it è in possesso – che elenca le principali criticità tecnico-burocratiche che stanno bloccando, nel concreto, la ricostruzione.

Generazione terremoto: il ritorno alla normalità “nel 2041”
I numeri vengono di fatto confermati anche dallo stesso Farabollini, secondo cui lo stallo è dovuto a cause antropologiche. Ma non solo. Il dato del 4%, per il geologo, “si può spiegare con la presenza di macerie, aree con dissesti, con le perimetrazioni e i piani attuativi propedeutici alla ricostruzione, con l’alta percentuale di seconde case, con le non conformità edilizie che richiedono sanatorie“. Ma anche “con lo spopolamento già in atto cui il sisma ha dato il colpo di grazia, con la scarsità di lavoro e servizi che fanno propendere per altre destinazioni soprattutto i giovani“. Una presa d’atto, del commissario, secondo cui “c’è solo un modo per ricostruire: garantire la sicurezza dei cittadini in un rapporto costi-benefici virtuoso”.

“La nostra comunità di fatto non ha più una casa e non è detto che tornerà ad averla”, ribadisce Fantauzzi, parlando di Illica, una delle 17 frazioni del comune di Accumoli. Il comitato che ha fondato, nei giorni scorsi ha mostrato l’intenzione di chiedere, fra le altre cose, misure per favorire il rientro dei non residenti: “La speranza è che mio figlio e i suoi coetanei possano tornare a far vivere questi luoghi. Le difficoltà sono anche di natura legale: “Ci sono case – dice a Ilfattoquotidiano.it – che sono crollate e hanno sterminato intere famiglie. E in molti casi ancora non si sono chiusi gli iter per le eredità, anche perché si tratta di passaggi costosi, sia sul fronte notarile che burocratico”. Il tema non è di poco conto: “Il nostro avvocato ci ha spiegato che i costi di successione si basano sul valore teorico dell’abitazione, come se non fosse crollata, e non su quello reale, un ammasso di macerie. E questo spinge tanti a rinunciare alle eredità”.

Gli ingegneri: “Contributi non sufficienti”
Farabollini si è soffermato sul tema della sostenibilità economica. Ma sulla scrivania c’è da tempo un dossier che mette in fila le criticità tecniche che stanno rallentando i processi. In primo luogo, emerge come i fondi da assegnare ai singoli proprietari o ai condomini aggregati vengano calcolati sulla superficie calpestabile e non su quella reale dell’edificio. “Mentre uno stabile in cemento armato – si legge nel dossier – è costituito da murature con spessori che vanno dai 10 ai 35 cm, quelli in muratura hanno spessori che vanno dai 40 anche sino a più di 90 cm“. In sostanza, si apprende dal documento, viene finanziata soltanto il 60% della superficie lorda. In una delle simulazioni effettuate dall’ingegnere Gianfranco Ruggieri, si determina una perdita di oltre il 15% dell’importo convenzionale (clicca per consultare la tabella).

Un importo, e qui sta la seconda macro-criticità evidenziata, che non tiene conto delle spese tecniche collaterali. All’interno del contributo, calcolato al metro quadro calpestabile, vanno fatte rientrare le spese tecniche – con relativa cassa – le spese per le prove, il compenso dell’amministratore, oltre alle relazioni geologiche e quelle specialistiche, tutte comprensive di oneri di legge. Anche l’Iva – che dunque torna allo stato – va fatta rientrare all’interno del contributo. “Considerando le diffuse problematiche di natura geologica dei territori – si legge nel dossier – ci si rende conto della esiguità della somma, decisamente insufficiente per affrontare un’adeguata e soprattutto sicura ricostruzione”.

Nessuna sostituzione in chiave anti-sismica
Queste alcune delle criticità di chi deve ricostruire da capo. Ma nel “cratere” ci sono anche tanti edifici danneggiati solo in parte, che però hanno presentato all’atto dei controlli hanno rivelato la presenza di materiali scadenti e non adatti alle attuali normative antisismiche. Anzi. È il caso degli alloggi ex-Ater, vecchie case popolari che negli anni gli inquilini hanno riscattato, come previsto dalla legge. In questi edifici, gli ingegneri hanno calcolato un valore minimo di resistenza cubica strutturale pari a 7,1 mega pascal, contro quello minimo di legge di 7,4. “Praticamente sabbia“, spiegano i tecnici a Ilfattoquotidiano.it.

All’indomani del sisma dell’Aquila, venne emanata un’ordinanza grazie alla quale i proprietari avrebbero potuto provvedere alla sostituzione edilizia. “Tale ordinanza nell’articolo 5 stabiliva le condizioni che davano diritto ad accedere alla sostituzione edilizia, prevedendo al comma 4 il diritto con copertura integrale dei costi di demolizione e ricostruzione, nel caso in cui la resistenza a compressione cubica fosse risultata inferiore a 8 mega Pascal”. Ma questa misura, per il Centro Italia, non è stata prevista. “È palese – si legge nel dossier – come andare ad affrontare un miglioramento sismico su di un edificio con tali caratteristiche risulterà esageratamente dispendioso oltre che di efficacia, in termine di sicurezza e quindi salvaguardia della vita, quanto meno discutibile.

L’attacco di Pirozzi: “Il commissario non ha poteri”
Si può fare di più? La struttura governativa, che appoggia su un commissario e quattro uffici speciali in ciascuna delle regioni coinvolte, è adeguata? Il cosiddetto “cratere” è una sorta di sovra regione che occupa un’area di 8.000 km quadrati a cavallo delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Fin qui i tre commissari che si sono succeduti, insieme ai tre governi nazionali, hanno emanato ben 86 ordinanze, cui hanno fatto seguito oltre 2000 provvedimenti attuativi da parte dei 138 comuni che fanno parte dell’area. Sergio Pirozzi, consigliere regionale del Lazio ed ex sindaco di Amatrice – città che con i suoi 241 morti sui 303 totali pagò il conto più caro in termini di vite umane – sostiene che “il governo avrebbe dovuto dare al commissario poteri straordinari come quelli concessi a Genova per la ricostruzione del ponte Morandi. Diversamente queste saranno terre dove ci sarà il business della ricostruzione con la desertificazione del territorio”

A ribadire il concetto ci ha pensato anche il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, che nei giorni scorsi ha dichiarato come non sia “eccessivo dire che la comunità a tre anni dal sisma si sente abbandonata. Non si può certo dire che il governo abbia preso decisioni concrete dopo una fase iniziale di ascolto che si è protratto per tutta la durata del governo”. Stando così le cose, il prelato di Rieti riflette sul concreto rischio che le zone dell’appennino si spopolino ancor più: “Il rischio è tangibile. Io credo che il destino delle zone di questo entroterra sia segnato da questa fuga che viene da molto lontano e che il sisma ha amplificato“.

Il cammino dell’artista lungo la faglia gloria
Un messaggio di speranza alle popolazioni colpite proverà a mandarlo l’artista Giorgio Andreotta Calò, già protagonista alla Biennale di Venezia 2017, che proprio alle 3:36 del 24 agosto è partito dalla Laguna per incamminarsi lungo la faglia gloria – i cui movimenti tettonici, secondo i sismologi, sono stati la causa del sisma – in direzione di Amatrice. Il cammino avrà diverse tappe, fra cui quella di Leonessa, dove l’artista sarà presente per realizzare un’installazione. “Camminare è un gesto concreto e simbolico, un gesto spirituale, politico ed estetico. Un gesto che può diventare esso stesso opera d’arte”, ha detto.

L’iniziativa Meridiani è promossa dalla Regione Lazio e coinvolge anche altri artisti. “Spero davvero – ha spiegato Raffaella Frascarelli, curatrice del progetto – che possa essere un motore per far scoprire reti sociali che sono eccellenze, dove solidarietà, impegno sociale, imprese creative, crescita culturale sono pratiche quotidiane portate avanti con impegno e senza fare chiasso”. Al termine del cammino, sarà realizzato un laboratorio con le comunità locali, al centro del quale ci sarà “la memoria condivisa come spazio di ricostruzione dei legami di una comunità“.

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