Nella storia della strage di Capaci che il 23 maggio del 1992 costò la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e a tre uomini della scorta si aggiunge un altro tassello giudiziario. La Corte d’assise d’appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza già emessa in primo grado a carico degli imputati: carcere a vita per i mafiosi Salvo Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello, mentre viene ribadita l’innocenza di Vittorio Tutino, assolto anche questa volta. Per tutti loro il Procuratore generale Lia Sava aveva chiesto la condanna all’ergastolo. “Valuteremo se ci sono spazi per il ricorso in Cassazione” contro l’assoluzione di Tutino, ha dichiarato il pg, esprimendo soddisfazione per i passi avanti fatti in direzione della verità. Anche se, ha aggiunto, per fare luce sulle “zone d’ombra” dell’eccidio del ’92 dovrebbero “parlare anche alcuni esponenti delle istituzioni dell’epoca“, così come “i personaggi di Cosa nostra che sono ancora al 41 bis”.

Le responsabilità della strage di Capaci erano già state fissate nel primo processo, conclusosi il 26 settembre 1997 con 24 ergastoli per il Gotha di Cosa nostra, da Totò Riina, Bernardo Provenzano, Francesco e Giuseppe Madonia, Pippo Calò, Pietro Aglieri e altri componenti della Cupola mafiosa. In appello si aggiunsero altri cinque ergastoli. Il 16 settembre 2008 la Cassazione aveva confermato le condanne e chiuso il primo filone processuale, ma tutto si è riaperto dopo il pentimento dell’ex killer della cosca mafiosa di Brancaccio Gaspare Spatuzza che ha deciso di parlare con i pm riscrivendo la fase esecutiva della strage. L’ipotesi dei pm nisseni è che i 5 al centro del processo bis abbiano svolto un ruolo fondamentale sia nella fase organizzativa dell’attentato, sia in quella operativa. A capo dell’operazione il boss Madonia, ritenuto uno dei mandanti della strage, mentre il tritolo sarebbe stato fornito da Lo Nigro attraverso contatti con pescatori di Porticello che avevano recuperato in mare ordigni inesplosi della seconda guerra mondiale.

Dopo la lettura della sentenza, il procuratore è tornato sui tanti buchi neri ancora presenti nella storia della strage nonostante siano trascorsi più di 28 anni. “Non è stato facile anche per coloro che hanno affrontato i processi all’inizio mettere insieme tutto i tasselli”, spiega Sava. “Ventotto anni fa non c’erano certi elementi tecnico scientifico, a partire dal Dna”. È per questo che ancora oggi “le indagini sulle stragi mafiose del ’92 non si fermano. Sia la Procura di Caltanissetta che la Dna continuano” a lavorare per arrivare “al completamento totale della verità“. L’importante, conclude il Pg, è che le varie procure italiane impegnate su questo fronte (da Caltanissetta a Firenze, passando per Reggio Calabria), permettano uno “scambio di informazioni tra uffici”.

“Il prezioso lavoro dei magistrati di Caltanissetta che non hanno mai smesso di cercare la verità sugli eccidi del ’92 ci consegna finalmente un quadro più nitido di quanto avvenne quel tragico 23 maggio di 28 anni fa”, ha dichiarato Maria Falcone, sorella del giudice ucciso a Capaci. “La sentenza della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta conferma il grande impegno della Procura e della Procura generale che sono riuscite a scrivere i capitoli finora rimasti oscuri dell’attentato di Capaci, individuando la responsabilità dei capimafia che erano riusciti a sfuggire alle indagini”, ha aggiunto. “L’auspicio ora è che si arrivi in tempi celeri alla conclusione dell’ultima tranche aperta del processo che vede imputato il boss latitante Matteo Messina Denaro“.

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