“La scuola ha bisogno di credibilità e autorevolezza. La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare”. Sarò sincera: quando ho letto le parole che il vicepresidente dei senatori di Forza Italia, Giuseppe Moles, 53 anni e docente universitario, ha rivolto alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, non ho pensato a un insulto sessista. Anche perché la verginità non la si perde da una parte soltanto.

Che però arrivassero da un altro tempo, questo sì, l’ho pensato. I miei coetanei, la mia generazione, non sarebbe in grado di produrre un pensiero di questo genere e mi auguro non abbia aiutato il senatore, con i suoi voti, ad occupare il seggio in cui siede.

Ho pensato anche che siamo nell’età della pietra, fondata su un qualunquismo spinto all’estremo in tutto l’arco parlamentare e dal quale spero che la fascia di cittadini più giovani riesca a liberarsi, magari partendo dal sentirsi alieni rispetto a esternazioni di questo genere. Vi chiedo: ma vi sentite rappresentati davvero in politica?

Arrivo dunque al secondo punto, che riguarda la scuola e quanto accade in questi giorni. L’emergenza Covid ha reso “mainstream” un tema che prima appassionava solo chi vi era direttamente coinvolto (e qualcun altro per un sentimento nostalgico). La scuola è diventata in piena emergenza terreno di scontro politico ideale, un ring dove far sentire il proprio peso e provare a tirare il più possibile, senza il rischio di sembrare sciacalli.

Mi ha stupito, però, che le posizioni si siano inasprite su una tematica molto, molto, di nicchia. Ci sono stati momenti in cui persone che fino a qualche mese fa non sapevano neanche cosa fosse “un ruolo” commentavano il “caos sui concorsi dei precari nella scuola”, di fatto basato sulla contrapposizione tra M5s e parte del Pd, LeU e i sindacati. Soprattutto i sindacati. Ma di cosa parliamo?

In estrema sintesi, di circa 32mila docenti che fanno supplenze nella scuola da almeno tre anni e che chiedono attraverso i sindacati (poi rappresentati e sostenuti dalle varie fazioni politiche) di avere un posto a tempo indeterminato, senza però affrontare un concorso pubblico per esami. Cioè di essere assunti per “soli titoli” in virtù dell’esperienza maturata sul campo (e anche delle continue condanne dell’Ue per i precari sopra i 36 mesi nella Pubblica Amministrazione).

Il problema, però, è che negli ultimi anni e anche con la Buona Scuola, questi precari hanno avuto molte occasioni per essere assunti: ci sono stati concorsi, ricorsi, percorsi. Insomma, salvando i casi di reale ingiustizia, che sicuramente esistono, vien da chiedersi cosa sia successo a tutte queste persone negli scorsi anni. Dov’erano?

Ad ogni modo, da mesi il Ministero aveva progettato per loro una prova semplificata e riservata, prima di settembre: test a crocette via computer e in piena sicurezza. Ma nessuna proposta sembrava soddisfare chi protestava: era stata chiesta “la batteria delle domande”, poi con il Covid di non fare il concorso per garantire la sicurezza e assumere (di nuovo!) in base ai titoli. Su questa battaglia, insomma, si è concentrata la politica nelle scorse settimane, tanto da richiedere l’intervento e la mediazione del premier Giuseppe Conte.

Eppure, a naso, sembra che la scuola (soprattutto in questo momento) abbia bisogno di ben altro. Di tutte le energie possibili per rinnovarla dalle fondamenta, delle idee per evitare che la didattica a distanza diventi un sostituto della presenza invece che un valido alleato, di risorse economiche per motivare genitori, ragazzi e docenti e far sentire loro che esiste una dimensione che li valorizza e li tutela. Non di certo di guerriglie. Anche perché l’assunzione dei precari non risolve la grande “supplentite” che la ministra dovrà affrontare a settembre (ma che esiste da anni) soprattutto sul sostegno.

Sempre guardando con un certo distacco, mi sembra di capire che questo ipotetico e continuo caos sulla scuola dipenda anche dal fatto che i sindacati stiano per rimanere senza battaglie e che i precari da 36 mesi sia l’ultimo baluardo di una lotta più cruenta (e meno concertativa) ancora accesa nella scuola. Moltissimi nodi si sono estinti e si stanno estinguendo, dalle graduatorie a esaurimento alle abilitazioni ai tirocinii.

Le proteste dei maestri diplomati sono state spente dalle sentenze del Consiglio di Stato. Oggi c’è tutta una categoria di giovani docenti che chiedono solo di poter lavorare bene, di essere guidati e di avere quanto gli spetta. Forse è lì che bisognerebbe cominciare a guardare. Altrimenti si rischia di puzzare di vecchio, proprio come Moles.

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