La puntata di Indovina chi viene a cena andata in onda domenica 26 aprile, realizzata anche grazie al contributo del nostro team investigativo, ha puntato i riflettori sulle condizioni degli animali negli allevamenti intensivi del nostro Paese, in particolare in quelli che utilizzano l’etichetta “benessere animale” per i loro prodotti. La giornalista Sabrina Giannini ha mostrato cosa si cela dietro questa sigla ingannevole, svelando un’operazione di marketing ben lontana dal garantire un reale benessere agli animali allevati a scopo alimentare.

I nostri investigatori hanno accompagnato la giornalista all’interno di alcuni allevamenti di suini, dove sono state riscontrate le stesse problematiche che documentiamo da anni nelle nostre inchieste. I maiali, infatti, sono tra gli animali più sfruttati dall’industria zootecnica, continuamente sottoposti a pratiche crudeli, mutilazioni illegali e somministrazione massiccia di antibiotici.

Purtroppo, anche se sembra incredibile, questi sono gli attuali standard di allevamento in Italia, ma è inaccettabile che, in queste circostanze, sia possibile attribuire addirittura una certificazione di “benessere animale”.

Il nostro team investigativo ha mostrato alle telecamere di Indovina chi viene a cena le strazianti condizioni di stabulazione delle scrofe, costrette a trascorrere circa metà della loro vita in gabbia: durante la prima fase di gestazione, il parto e l’allattamento. Rinchiuse in spazi strettissimi che delimitano il perimetro del loro corpo, non hanno la possibilità di compiere nessun movimento: possono solo stare in piedi o distendersi, faticosamente, su un fianco.

Non è concessa loro la possibilità di socializzare con le compagne, costruire il nido per accogliere i propri cuccioli o manifestare comportamenti specie-specifici. Nonostante la chiara violazione del principio di benessere animale che queste strutture comportano, il loro utilizzo è consentito dalla legge.

La mutilazione sistematica della coda, invece, costituisce un’operazione illegale e vietata all’interno dell’Unione Europea da 25 anni. Ciononostante, Sabrina Giannini e i nostri investigatori hanno osservato maiali con la coda mozzata in tutti gli allevamenti visitati. Il ricorso al taglio della coda, effettuato su suinetti appena nati senza anestesia e analgesia, avviene per evitare che gli animali, esposti costantemente a fattori di stress dovute a pratiche intensive di allevamento, si morsichino la coda a vicenda.

Si potrebbe evitare questi fenomeni fornendo gli adeguati arricchimenti ambientali già previsti per legge, oltre a garantire l’idoneità di altri parametri di gestione dell’allevamento, come ampiamente indicato nella Raccomandazione dell’UE 2016/336.

La castrazione chirurgica, operazione legale qualora eseguita nel rispetto dei criteri predisposti dal D.Lgs. n.122 del 7 luglio 2011, continua nondimeno a costituire una pratica controversa ma effettuata di routine sui suinetti maschi per prevenire il cosiddetto “odore di verro”.

Davanti alle telecamere di Indovina chi viene a cena, il nostro team investigativo ha inoltre rilevato di aver assistito più di una volta a operazioni di castrazione chirurgica illegali, ossia eseguite da semplici operatori dell’allevamento senza anestesia e analgesia su maiali di qualche mese di vita.

Tuttavia, anche qualora avvenga nel rispetto dei parametri previsti dalla normativa, la castrazione è un intervento invasivo, fonte di dolore acuto e causa di alterazioni comportamentali, motivo per cui il suo impiego andrebbe abbandonato in favore di alternative in grado di risparmiare sofferenze inutili agli animali.

Da tempo ci stiamo impegnando per intervenire sulle terribili condizioni, documentate anche da Sabrina Giannini, in cui versano i maiali negli allevamenti intensivi in Italia. Infatti, la nostra campagna #SOSpig è nata proprio con lo scopo di chiedere alle catene di supermercati italiani di abbandonare l’utilizzo delle gabbie per le scrofe e il ricorso sistematico a mutilazioni dolorose per i suinetti all’interno della loro filiera produttiva.

L’allevamento intensivo è alla base del nostro sistema agroalimentare, da esso dipende e proviene la quasi totalità della produzione di alimenti di origine animale. Tuttavia, oltre a essere una fucina di malattie virali e infezioni batteriologiche a causa di densità elevate e assenza di varietà genetiche, gli allevamenti intensivi sono sistemi di produzione insostenibili, all’interno dei quali gli animali sono esposti a continue sofferenze poiché considerati mere risorse da sfruttare.

L’emergenza Covid-19 e l’attuale crisi sanitaria globale sono il frutto evidente del profondo legame tra sfruttamento animale e comparsa di nuove zoonosi di origine virale. In questo momento critico è necessario ripensare ai nostri modelli di produzione e consumo alimentare, e al loro impatto sull’ambiente, la salute pubblica e quella degli animali.

Mai come ora urge la necessità di un approccio olistico all’analisi del rapporto tra uomo, ambiente e animali, al fine di stimolare un dibattito pubblico volto ad analizzare con lucidità le cause della situazione che stiamo vivendo.

Per questo motivo Essere Animali, assieme ad altre organizzazioni per la protezione degli animali e la tutela dell’ambiente, ha indirizzato una lettera ai vertici della Rai in difesa dei giornalisti del palinsesto che sono stati attaccati dall’industria della carne e dalle associazioni di categoria.

Le loro inchieste, infatti, sono state criticate proprio per aver messo in luce l’interconnessione tra zoonosi, produzione agroindustriale, scomparsa della biodiversità e sostenibilità ambientale. Verità scomode ma imprescindibili, dalle quali è fondamentale partire per comprendere i problemi del presente e costruire un futuro migliore.

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