Parlava la lingua così bene che nessuno si ricordava più da quanti anni si fosse trasferito in Italia. Veniva dalla Tunisia Oualid Ayachi, infermiere di 50 anni morto il 2 aprile a Legnano, dove era ricoverato da marzo. Ancora una volta, si tratta di coronavirus. “Non doveva andare così”, tuona Livio Frigoli, direttore generale della Rsa Sant’Erasmo di Legnano (Milano), la residenza per anziani dove Ayachi lavorava: “E’ vittima anche di errori e ritardi del sistema, gli operatori – continua il direttore – dovevano essere subito sottoposti al tampone”.

Oualid viveva a Novara con la moglie e i quattro figli tutti minorenni, tre femmine e un maschio nato da un anno. Faceva il pendolare fra una città e l’altra. Un diploma da infermiere ottenuto in terra tunisina, era stato l’unico della sua famiglia a trasferirsi. I suoi fratelli erano rimasti là. L’anno scorso gli si era rotta la macchina: si svegliava all’alba per arrivare in tempo alle 7 di mattina, prendendo un treno fino a Legnano. Poi, dalla stazione alla Fondazione Sant’Erasmo, usava la bici anche se pioveva o nevicava. Doveva aspettare che il meccanico gli riparasse l’auto, e non poteva permettersi di comprarne una nuova.

“Da noi è arrivato circa dieci anni fa, come me. Abbiamo iniziato insieme” ricorda Francesca Nido, medico geriatra della residenza sanitaria assistenziale (rsa) Fondazione Sant’Erasmo di Legnano. “Piaceva a tutti. Era umile, sorridente, pronto alla battuta. Mi ricordo che di recente avevamo parlato del cantante Ghali, che è di origine tunisina: era orgoglioso che fosse suo conterraneo. Mi ripeteva sempre ‘si pronuncia Hali, con la h aspirata, non Ghali’”. Oualid faceva il suo lavoro con entusiasmo. Quando qualcuno aveva bisogno di lui, c’era sempre. “Aiutava dovunque potesse. A volte dava una mano anche in mansioni che non erano proprie della sua professione. Per esempio, aiutava a spostare i pazienti e a imboccarli”.

Due mesi fa aveva perso un fratello, alla cui famiglia inviava parte del suo stipendio: “Aveva preso un permesso per essere presente al funerale. Una volta tornato, ha chiesto di poter lavorare ancora di più”, dice il direttore generale della struttura, Livio Frigoli. “Mi guardava con rispetto, da lontano, per via della mia qualifica. Mi ricordo quando ci comunicò la nascita del figlio maschio, un anno fa: faceva i salti di gioia. Aveva voglia di crescere e di far crescere la sua famiglia”, ricorda Frigoli. “È stato vittima del virus, ma anche dei ritardi e degli errori che ci sono stati nella gestione dell’emergenza da parte del sistema sanitario Lombardo. I soldati in prima linea, cioè gli operatori sanitari, dovevano essere subito sottoposti al tampone”.

Alla moglie preoccupata per una bocca da sfamare in più, Oualid aveva risposto che “dove mangiano in tre mangiano in quattro”. Era la colonna portante della sua famiglia: la donna non lavora e non conosce l’italiano. “Noi tutti colleghi stiamo raccogliendo denaro da mandare ai suoi cari, perché capiscano che ci siamo”, spiega Francesca Nido. Il Presidente della Fondazione Domenico Godano ha inoltre deciso di destinare alla famiglia una parte dei contributi che verranno raccolti per la campagna “Aiuta il Sant’Erasmo” lanciata nei giorni scorsi.

Le case di riposo sono alcune delle realtà più colpite dal coronavirus, e quella di Legnano non fa eccezione. “Stiamo affrontando molte difficoltà, ma facciamo del nostro meglio”, continua il direttore generale Frigoli. Oualid è stato ricoverato il 9 marzo. “L’allarme è partito il 23 febbraio, noi siamo riusciti a dare un giro di vite effettivo qualche giorno dopo, l’1 marzo. Non posso essere certo che in quell’arco di tempo siano state adottate le stesse misure di sicurezza e prevenzione attivate in seguito, ma penso che lo stesso valga per le altre rsa. Si navigava a vista, non c’era ancora chiarezza sulla gravità della cosa. Abbiamo subito introdotto presidi come mascherine (già Ffp3, dai primi giorni) e guanti per proteggere gli operatori, e limitato gli accessi dall’esterno. Dall’ 1 li abbiamo completamente chiusi. Con il passare dei giorni, insomma, abbiamo introdotto sempre più cautele e protezioni”.

La Fondazione Sant’Erasmo fa sapere, con una nota: “Dalle informazioni in nostro possesso, risulta che Oualid è l’unico dei lavoratori in malattia che è stato ricoverato in terapia intensiva. Altri sono stati ricoverati a seguito del tampone effettuato in ospedale e poi dimessi. Alla data odierna (2 aprile 2020, ndr) la metà dei 31 assenti per malattia (16 per la precisione) non ha effettuato il tampone. Dei 15 che invece sono stati sottoposti al test: 8 hanno avuto esito positivo (fra cui Oualid Ayachi) e 7 hanno avuto esito negativo. Nei prossimi giorni l’ATS ha garantito che sottoporrà a tampone anche il restante personale”.

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