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di Paola Picollo

“Maestra, ti voglio bene”. “Mi mancate tutti moltissimo”. “Quando torniamo in classe a fare i calcoli difficilissimi?”. “A me piace stare a casa con mamma e papà ma preferisco quando stiamo tutti insieme a scuola”.

Questi, e molti altri, sono i messaggi che ricevo dai miei studenti in questo lungo periodo di chiusura delle scuole e di forzato isolamento. Messaggi che confortano ma anche messaggi inaspettati, sorprendenti. Anche i più svogliati, quelli che si alzavano con grande fatica tutte le mattine per arrivare puntuali a scuola e che vivevano l’impegno dello studio e dei compiti a casa come un carico insopportabile, dopo il primo “entusiasmo” per i giorni di vacanza inaspettatamente guadagnati, iniziano ad avvertire l’incredibile mancanza della scuola nella loro vita quotidiana.

Si scopre così che la scuola – negli ultimi anni sempre più bistrattata, derisa e criticata – è ancora un punto di riferimento sociale molto importante nelle vite dei nostri ragazzi. Come tutte le cose belle, ne capisci il valore solo quando le perdi. Manca la rassicurante certezza delle sue mura, l’energia delle menti e dei corpi giovani e in salute che riempiono i suoi spazi, la condivisione di intere giornate, adesso lunghe, noiose e vuote.

I miei alunni vogliono i compiti, vogliono studiare, vogliono tornare in classe. Noi insegnanti, con un enorme sforzo ed impegno, cerchiamo di far sentire loro la nostra vicinanza in modi diversi, ma nessuno di questi è davvero in grado di sostituire il calore della presenza fisica, la sorpresa del riscoprirsi e ritrovarsi insieme ogni giorno.

Il virtuale non può sostituirsi ancora al reale. Per fortuna. Tra le molte cose che possiamo imparare da questo periodo difficile per tutti noi c’è anche questo.

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