Uno dei nomi più importanti di Cosa nostra percepiva il reddito di cittadinanza. Il boss Gaetano Scotto, arrestato ieri con l’accusa di associazione mafiosa, lo ha dichiarato lui stesso oggi durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip. L’inchiesta che lo coinvolge, coordinata dalla dda di Palermo, ieri ha portato in cella otto mafiosi del clan dell’Arenella guidato secondo gli inquirenti proprio da Scotto. Il capomafia, coinvolto nell’indagine sulla strage di Via D’Amelio, era stato scarcerato nel 2016. Scotto, infatti, è una delle dieci persone accusate ingiustamente della strage Borsellino e adesso parte civile nel processo sul depistaggio che è in corso a Caltanissetta.

Scotto è indagato anche per l’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino e della moglie Ida insieme al boss Nino Madonia. Nei giorni scorsi il procuratore generale Roberto Scarpinato, ha inviato un avviso di chiusura indagine, che prelude a una richiesta di rinvio a giudizio. Agostino e la moglie furono assassinati davanti alla loro casa di villeggiatura a Villagrazia di Carini la sera del 5 agosto 1989. In questi 31 anni l’inchiesta si è dovuta confrontare con molte ombre e con tentativi di depistaggio contro i quali si è battuto il padre di Nino, Vincenzo Agostino. Scotto ha sempre negato di appartenere alla mafia e di essere coinvolto nell’omicidio di Villagrazia di Carini.

Secondo le accuse Scotto aveva ripreso il controllo del borgata marinara dell’Arenella. Era ossequiato anche alla festa di Sant’Antonio da Padova del 13 giugno 2016, quando a cinque mesi dalla scarcerazione lo avevano fatto salire sul peschereccio in cui viaggiava la cosiddetta ‘vara del Santo’, nonostante la presenza fosse riservata al sacerdote e alla banda musicale, come hanno documentato le indagini della Dda di Palermo (aggiunto Salvatore De Luca, sostituti Amelia Luise e Laura Siani). Nell’inchiesta è stato arrestato anche il fratello della vedova di Vito Schifani, Rosaria Costa, moglie del poliziotto che faceva parte della scorta di Giovanni Falcone e che morì nell’attentato di Capaci.

Coinvolto nell’indagine anche anche il fratello di Scotto, Pietro, tecnico di una società di telefonia, anche lui indagato nell’inchiesta sull’uccisione di Paolo Borsellino. Era stato accusato di aver captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio. Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello.

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