Dago monitora con un gonnellone addosso e l’acquolina in bocca: a sinistra Bruno Vespa e a destra Elodie, a sinistra Gabriele Galateri di Genola e a destra Enzo Miccio, a sinistra il console arabo e a destra Scalfarotto con gli occhiali fumé, a sinistra il rettore della Bocconi e a destra Dvora la chirurga estetica fiera fino all’ossessione di essersi messa una gonna con luci led che si illumina come l’albero swarowski in galleria. Ma più famelica di Dago nel foyer della Prima della Scala – rosa dei venti del potere, crocicchio tra altissimo e bassissimo, mescolanza tra molto potere e molto chi se ne frega – torna ad aggirarsi, felina, la Lega che in attesa di vincere, rivincere, stravincere, polverizzare, divorare, trangugiare tutte le elezioni del mondo ha preso ad allenarsi perché non tutti hanno il talento innato di camminare sui tappeti rossi come Corrado Passera. Così, se nel palco reale va di diritto il governatore Attilio Fontana, presidia l’ala destra dell’atrio del teatro la parlamentare Barbara Saltamartini che – nata finiana, cresciuta berlusconiana, passata come alfaniana e approdata salviniana – non ha certo problemi di adattamento. Non molla l’osso Marco Bussetti, ex ministro dell’Istruzione, che si imbulletta lungo il tappeto rosso – a un’incollatura dal sindaco e dalla senatrice Segre – a far ben valere il suo incarico di provveditore scolastico provinciale. Preferisce non dare nell’occhio e imbuca un ingresso di lato il tesoriere del partito Guido Centemero, di fresca imputazione per finanziamento illecito, sempre per via dell’associazione PiùVoci che a dispetto del nome non riunisce appassionati melomani. Era annunciato anche il deputato Alessandro Morelli, ma nessuno l’ha visto (attenzione: non è una parafrasi di Fortebraccio).

La verità è che il foyer – barometro e mappa – quest’anno non sa da che parte guardare, su che lato sbilanciarsi. La maggioranzona per esempio, nel dubbio, si presenta a ranghi completi, come se fosse il quattrocentesimo vertice della settimana sulle ripicche di Renzi: Franceschini, Spadafora, Maria Elena Boschi, c’è pure l’indipendente, la ministra Lamorgese, e – a riprova – come al solito non hanno avvisato Leu. Quando tira arietta da riposizionamento, rispunta Angelino Alfano. “Come siamo belli!” gli dicono davanti a tutti e senza intenti umoristici. Ma è stato quando nel teatro si è precipitata anche la presidente del Senato Alberti Casellati che si è letto il terrore negli occhi di parecchi in fila per entrare: vuoi vedere che ci infilano un medley di Amedeo Minghi? Nel dubbio, così, la Scala applaude di nuovo Mattarella come se fosse il baritono, scena che ormai sta diventando un genere e potrebbe diventare una serie su Netflix. Come nel 2018 il presidente si è sbracciato per interrompere l’omaggio insistito, ma non c’è stato verso di farli smettere prima di 4 minuti.

“The Sardine have the power” dice Patti Smith che ormai si vede nel foyer della Scala più di Diana Bracco. Le Sardine hanno il potere, ma semmai qui è il potere che si fa sardina: manager, banchieri, parlamentari uno di fianco all’altro, spalla a spalla, “permesso” a fronte di “ciao carissimo”, pestoni a ripetizione senza mai un solo mi scusi, pance contro culi, lacche miste a deodoranti insufficienti, ci si aspetta da un momento all’altro l’effetto di una riproduzione pluricellulare oppure che si concretizzi il rischio elevatissimo che all’ennesimo chiffon sfregato contro una paillette scatti la scintilla letale che faccia precipitare la situazione. Il combustibile non manca: se vedesse tutta la plastica che gira nel foyer – con parità di genere, per fortuna -, a Gualtieri verrebbero gli occhi a cuoricino perché con la sola plastic tax applicata al Piermarini potrebbe ripagarci le Asl delle province di Lodi e Monza e Brianza.

“Ma cos’è tutto questo casino?” chiede Natalia Aspesi, sconfortata. Gli rispondono che tutti aspettano Mattarella (“Ah ma arriva lo stesso anche se non fanno questo casino” tiene botta lei) ma dovrebbero risponderle che è soltanto lo stesso casino di sempre alla prima della Prima, a prescindere che governi la sinistra o la destra.

Una sfilza di macchine con i vetri oscurati si allunga, come nei parcheggi del centro commerciale di Arese, fin quasi al teatro Manzoni. Inseguono Bruno Vespa per intervistarlo e lui – compiaciutissimo – scappa spingendo la moglie Augusta Iannini come se fosse il trenino di Capodanno. Una stangona vestita in modo eccentrico – a ogni Prima ci sono almeno 10 stangone vestite in modo eccentrico – è così recalcitrante con l’inviato del CorriereTv che chiede a un suo segretario-portaborse-paggetto di farle una foto mentre risponde al microfono. Il console degli Emirati Arabi si fa spazio per attraversare il foyer verso Nord. Vittoria Puccini si assume la responsabilità di prendere l’incarico che un tempo fu di Valeria Marini: le foto davanti all’albero di Natale. Natasha Poonawalla ne fa voltare più d’uno, ma più d’uno non sa che c’è di più di quel che vede: è a capo di una delle più grandi aziende di vaccini del mondo. Il console degli Emirati Arabi prova lo sfondamento per attraversare il foyer verso Sud. Francesca Barra e Claudio Santamaria entrano alle 17,54, sei minuti prima dell’inno di Mameli. Il console degli Emirati Arabi in ritirata cerca di incunearsi verso l’area Est del foyer. Il pubblico dei palchi vorrebbe prendere posto, ma il traffico sulle scale è bloccato da uno strascico di almeno tre metri e mezzo, un codone da pavone che nonostante la cautela dei passanti viene pesticciato più di una volta da tacchi, stivaletti, scarpe lucide, similpantofole, espadrillas e pisamierdas. “Non si preoccupi, è stoffa” risponde a tutti i pestatori il pavone. Il console degli Emirati Arabi è riuscito finalmente a trovare un modo per entrare in sala: passando dal tappeto rosso. Quest’anno non si vede nemmeno uno chef, ma l’opera inizia lo stesso. Nel buio totale si illumina un palco: è Dvora che ha cambiato posizione e gli si è accesa la gonnella Las Vegas.

Il biglietto per la serata esclusiva costa 3mila euro e per i corridoi girano i cittadini tra i più ricchi d’Italia ma se si butta lo sguardo al bancone degli aperitivi del ridotto viene da indovinare se qualcuno ha chiesto il reddito di cittadinanza. Scalfarotto fa la fila regolarmente, ma prima di farsi ascoltare ce ne vuole perché il barman sembra rispettare l’ordine di apparizione della clientela, che siano sottosegretari o no. Alla fine Scalfarotto va a segno al terzo tentativo con la parola chiave di queste situazioni: “Anche per me!“.

Le luci si spengono e si riaccendono, ma dal ridotto dove girano panettone e bollicine non schioda nessuno. Per far cominciare il secondo atto con qualcuno che lo guardi serve quasi una carica di alleggerimento del reparto mobile. Quando rientra Chailly metà platea è ancora in piedi, meditabonda, a cercare la propria poltrona, eppure era questa. Le maschere hanno delle crisi di nervi per rincorrere chi è in ritardo, chi si è perso, no signora da questa parte, con l’orchestra che già suona l’inizio dell’atto. I camerieri ridono: un quarto dei palchettisti è rimasto al buffet. Lì dove Milano restituisce.

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