Nel 2000 Cosa nostra “voleva uccidere il giudice Leonardo Guarnotta“. Cioè l’ex componente del pool antimafia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che all’epoca era presidente della corte che stava giudicando Marcello Dell’Utri per concorso esterno a Cosa nostra. A sostenerlo è il pentito Pietro Riggio, un uomo che ha vissuto una doppia vita: agente della polizia penitenziaria di giorno, e mafioso del clan di Caltanissetta di notte. Reggio è il collaboratore che ha fatto finire sotto inchiesta l’ex poliziotto Giovanni Peluso, accusato di aver avuto un ruolo nella strage di Capaci. E proprio durante all’ultimo processo per l’eccidio del giudice Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, che Reggio ha deposto collegato in videoconferenza la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Gli imputati al Capaci bis sono Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo e Vittorio Tutino. Il processo di primo grado si era concluso con quattro ergastoli e un’assoluzione. Vittorio Tutino venne assolto per non avere commesso il fatto. Madonia è considerato uno dei mandanti dell’attentato mentre gli altri avrebbero preso parte alla fase esecutiva. A permettere ai magistrati nisseni di poter riaprire un nuovo filone d’indagine, furono le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, insieme a quelle di Fabio Tranchina, che consentirono di fare emergere il ruolo della famiglia mafiosa di Brancaccio nella preparazione ed esecuzione dell’attentato.

Le dichiarazioni del collaboratore sono tutte da verificare, mentre l’ex poliziotto si è più volte dichiarato innocente. Gli investigatori predicano “prudenza“, anche perché spesso si tratta di racconti de relato, riferiti spesso a confidenze che Reggio avrebbe avuto dallo stesso Peluso. Rispondendo alle domande dell’avvocato Salvatore Petronio, Riggio racconta di un incontro con l’ex poliziotto Giovanni Peluso, indagato per la strage di Capaci, nel 2000. “Peluso – dice Riggio – voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, il dottore Guarnotta. Le ragioni non me le disse, se non l’esigenza di rifugiarsi dopo l’attentato. Aveva anche fatto uno schizzo sull’abitazione del giudice. Io quel giorno stesso riferii dell’attentato al colonnello della Dia”. Una dichiarazione leggermente diversa da quella messa a verbale davanti ai pm. Ai magisgtrati il pentito aveva detto: “Peluso mi disse che la nostra organizzazione aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un ‘palazzo’, ritengo fosse quello dove abitava il magistrato”. Parlando in aula, invece, non ha citato la parte sui ‘favori alla politica’. Guarnotta, oggi in pensione, in passato è stato un membro del pool antimafia coordinato dal giudice Antonino Caponnetto. Con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, Guarnotta ha istruito il Maxiprocesso di Palermo e per ultimo ha ricoperto l’incarico di Presidente del Tribunale. Nel 2000 era presidente della corte che stava processando Dell’Utri per concorso esterno a Cosa nostra. L’ex senatore di Forza Italia sarebbe stato condannato a nove anni in primo grado e poi a sette anni in via definitiva: pena che finirà di scontare tra pochi giorni.

Riggio in aula ha raccontato anche altro. “Non ho parlato prima della strage di Capaci perché, purtroppo, ho avuto modo di conoscere il sistema dall’interno e se io ne avessi parlato prima oggi sarei un uomo morto…”, ha sostenuto, citando l’ex pm di Firenze Gabriele Chelazzi, che nel frattempo è deceduto. “Chelazzi mi disse: ‘Stai attento a parlare e se lo devi fare, fallo solo con la procura di Firenze. Ecco perché quando decisi di parlare scrissi alla Procura di Firenze”. Il pentito ha raccontato quanto ha saputo dall’ex poliziotto Peluso. “Capii che oltre a Cosa nostra c’erano anche altre persone che si erano interessate alla strage di Capaci”, ha raccontato, sostenendo di aver sentito dall’ex poliziotto Peluso: “Tu sei sicuro che a premere il telecomando della strage fu Brusca?’. Da lì ho dedotto che non avesse premuto Brusca, io mi sentii raggelare perché era una verità che si sapeva cioè che fosse stato Brusca e la mafia. In quel momento, invece, capii che oltre a loro c’erano altre persone che si erano interessate di questa situazione. Capii che mi trovavo in pericolo e che stavo giocando con un gioco più grande di me”. Poi ha aggiunto: “Sono deduzioni che ho fatto io dopo quanto mi disse Peluso”.

Tutte informazioni da vagliare. Soprattutto quando Riggio ha detto che un ruolo nella strage di Capaci sarebbe stato svolto anche da una “donna, sui 35-40 anni, appartenente ai servizi segreti libici” . “Mi ricordo che Peluso si accompagnava con una donna – continua – Mi disse che era una persona vicina ai servizi segreti libici” e ricorda di avere saputo che la compagna di Peluso “apparteneva ai servizi libici” e “anche la suocera che svolgeva servizio all’ambasciata libica”. “C’era un collegamento di veridicità in quello che mi diceva”.

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