Più che una provocazione, quella lanciata dal sindaco Leoluca Orlando sui trasporti gratis per chi paga la Tari, è una buona occasione per parlare di servizi e di città. E non solo a Palermo. Nel capoluogo circa un terzo degli abitanti non paga la Tari: non vi è distinzione tra centro borghese e periferie, tra ricchi condomini e palazzoni cadenti. Anzi spesso nelle zone più in della città si registrano le peggiori performance.

Semplicemente i palermitani – non solo loro poiché il dato è comune a moltissime medie e grandi città – non pagano la tassa sui rifiuti. Certo c’è una grande questione culturale e un’altrettanto grande questione sociale. E certamente il livello dei servizi di raccolta costituisce, agli occhi di molti, la scusa perfetta per giustificarsi; difficile sentirsi in colpa se non si paga per un servizio con carenze e lacune. Ma detta così sarebbe analisi banale e superficiale.

Il problema sta più in profondità. In un circolo vizioso fatto da disservizi, mancanza di risorse che crea ulteriori disservizi, condizione della città che sembra rendere inutile e ingiustificato il pagamento di ogni tributo con il conseguente peggioramento della situazione. Un circolo che, tra le altre cose, costituisce una delle principali ragioni della profonda assenza di senso di comunità nelle grandi città del sud. Ed è qui il punto centrale.

Vale per la tassa sui rifiuti, vale per la visione del pubblico, vale in generale per il rapporto tra cittadino e città come bene comune. Una questione che non può più essere lasciata a iniziative più o meno estemporanee o, come per troppi anni si è fatto, semplicemente trascurata o affrontata al livello delle conversazioni da caffè nei bar.

Invertire questa tendenza, costruire una visione diversa del cittadino dentro lo spazio comune della città, oggi è la sfida più grande di Palermo o di Catania o Bari o scegliete voi un’altra città. Su questo si gioca molto più che la tenuta, già precaria, dei bilanci degli enti locali. Tenuta dei conti che non è, ovviamente, un dettaglio di poco conto considerando che già oggi Catania (la decima città italiana per popolazione) è in dissesto finanziario.

La proposta di Orlando ha, oltre che il gusto della provocazione, un merito innegabile: provare a far vedere ai palermitani la città come un unico corpo collegato. Una città in cui igiene ambientale (e sarebbe riduttivo parlare solo dei sacchetti di rifiuti non raccolti in una regione che da 20 anni vive in emergenza continua, in un settore che ha visto scandali e interessi fortissimi della mafia) e sistema pubblico di trasporto sono un “sistema unico”.

Il che sarebbe una grande rivoluzione, culturale e amministrativa. Inoltre introduce, finalmente direi, l’idea della premialità per i comportamenti virtuosi. Questa strada è stata spesso annunciata, ma mai realmente intrapresa. E non è un fatto solamente legato al “se paghi e fai il tuo avrai vantaggi”: io lo vedo più legato a un principio essenziale di ricostruzione di un sentire comune, a un fare parte di una comunità. Una città capace di ricostruire i propri servizi diventa una città capace di invertire l’idea della difesa del proprio orticello, della propria “roba” verghiana. Cosa ancora più importante a Palermo.

Ovviamente tutto questo non può bastare in mancanza di investimenti e di nuove visioni capaci, con un salto quantico, di recuperare decenni. Ma per fare questo salto occorre, prioritariamente, tessere una tela. E se per farlo il materiale dovrà essere quello dei rifiuti e dei biglietti va bene comunque. A patto di non trasformare una buona idea in una moltiplicazione dei disservizi, perché nel sistema di una città-bene comune l’amministrazione non può solo fare le pagelle sul livello di civiltà dei cittadini.

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