Al peggio non c’è mai fine. Specie quando si parla di Eow (fine-rifiuto) e cioè delle condizioni richieste affinché un rifiuto, dopo un’operazione di recupero, ridiventi prodotto; e venga, quindi, “liberato” da tutti gli obblighi di controllo e di tracciabilità previsti dalla legge per evitare che i rifiuti vengano smaltiti illegalmente. Come è evidente, si tratta di una questione molto delicata per la tutela ambientale in quanto la normativa europea impone che, per decretare la fine-rifiuto, vengano rispettate alcune condizioni tra le quali spicca quella secondo cui “l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente e sulla salute”. E, pochi giorni fa, la Corte europea di giustizia ha precisato opportunamente che “conformemente al principio di precauzione sancito all’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, se la valutazione dei migliori dati scientifici disponibili lascia persistere un’incertezza in ordine alla questione se l’utilizzo, in circostanze precise, di una sostanza ottenuta dal recupero di rifiuti sia privo di qualsiasi possibile effetto nocivo sull’ambiente e sulla salute umana, lo Stato membro deve astenersi dal prevedere criteri di cessazione della qualifica di rifiuto di tale sostanza o la possibilità di adottare una decisione individuale che accerti tale cessazione”. D’altro lato, abbiamo tutto l’interesse ad incentivare il recupero dei rifiuti, che, tuttavia, ha un senso solo se si conclude con l’anello finale EoW per certificare che il recupero è avvenuto.

Che ha fatto il nostro paese? Ne abbiamo parlato recentemente su questo blog e ad esso rinvio chi volesse saperne di più.

L’importante è ricordare, in estrema sintesi, che la nostra legge sin dal 2010 ha previsto la competenza su EoW del Ministero dell’ambiente tramite appositi decreti attuativi; e che il Ministero, dopo sei anni di colpevole inerzia, tentava, con una circolare, di scaricare la questione sulle Regioni. Ma veniva aspramente redarguito dal Consiglio di Stato, il quale, nel 2018, riaffermava con forza la competenza esclusiva dello Stato sancita dall’art. 117 della Costituzione, con la conferma di numerose sentenze della Corte costituzionale; richiamando la evidente necessità di garantire, proprio in tema di normativa sui rifiuti, un livello di tutela uniforme in tutto il territorio nazionale. Gettando nel panico tutte le aziende che, nel frattempo, erano state autorizzate dalle Regioni e mettendo in difficoltà, a causa della perdurante inerzia del Ministero, tutto il settore del recupero rifiuti.

Finché, dopo vari tentativi, si arrivava, pochi giorni fa, all’inserimento nella legge sulle crisi aziendali (n. 128/2019) di un emendamento di maggioranza, per cui, in assenza di regolamentazione generale della Ue o dello Stato, su EoW possono decidere le Regioni rifacendosi ai criteri comunitari; mentre lo Stato, attraverso una procedura macchinosa, confusa e tutta burocratica, ha un potere di controllo, a campione, su queste autorizzazioni regionali che devono comunque essere pubblicate in un apposito archivio. Insomma, si sancisce, per legge, una evidente illegittimità costituzionale, attribuendo allo Stato solo un ruolo del tutto marginale, eventuale e secondario.

Ed ecco la novità. La legge 128 entrava in vigore il 3 novembre 2019. Ma il giorno prima era entrata in vigore un’altra legge: quella di delegazione europea (n. 117/2019) – emessa ogni anno per delegare il governo a dare attuazione alla normativa europea – la quale, se da un lato, per EoW, si limitava a dire che bisognava salvare le autorizzazioni già rilasciate e riformare la disciplina secondo la direttiva comunitaria, dall’altro, per quanto concerne la gestione dei rifiuti, impone (art. 16, lett. m) al governo di rivedere tutto il sistema delle competenze, con l’indicazione di “mantenere o comunque assegnare allo Stato le funzioni per le quali sussiste l’esigenza di un esercizio unitario di livello nazionale in ragione dell’inadeguatezza dei livelli di governo territorialmente più circoscritti a raggiungere efficacemente gli obiettivi”; esigenza che appare di tutta evidenza per EoW la cui disciplina, come espressamente ricorda l’ultima direttiva sui rifiuti, deve “offrire agli operatori dei mercati delle materie prime secondarie una maggiore certezza sulle sostanze o sugli oggetti considerati rifiuti e per promuovere pari condizioni di concorrenza”.

Aggiungendo, ancora più significativamente, che occorre “mantenere o comunque assegnare allo Stato le funzioni volte alla fissazione di standard, criteri minimi o criteri di calcolo che devono essere necessariamente uniformi in tutto il territorio nazionale“; e, ancora più specificamente, che occorre provvedere “alla definizione di linee guida sui contenuti minimi delle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208… del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (n. 5.3); cioè, proprio e soprattutto, le autorizzazioni caso per caso in tema di EoW previste dalla legge sulle crisi aziendali, i cui criteri sono lasciati alla completa autonomia delle Regioni.

A questo punto, siamo ai limiti della farsa. Ma purtroppo è una cosa seria, anzi drammatica, perché così si rimette tutto in discussione. In quanto, non solo il chiaro dettato costituzionale, non solo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, non solo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, ma addirittura una legge entrata in vigore il giorno prima sconfessano platealmente l’attribuzione alle Regioni per il rilascio autonomo di autorizzazioni caso per caso in tema di EoW effettuato dalla legge 128/2019 sulle crisi aziendali.

Con il paradosso che, nell’arco di 24 ore, entrano in vigore in Italia due leggi che dicono due cose esattamente opposte.

C’è da sperare che, a questo punto, lo Stato voglia recuperare un minimo di decenza ed il Ministero dell’ambiente si affretti almeno ad emanare immediatamente linee guida alle Regioni per garantire un minimo di uniformità di trattamento e di tutela uniforme dell’ambiente. Anzi, visto che c’è, forse potrebbe pure mantenere la promessa, fatta un anno fa, di “intervento immediato” per eliminare lo sconcio, tutt’ora vigente, dell’art. 41 del decreto Genova sulla utilizzazione di fanghi da depurazione contaminati per l’agricoltura.

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