Nei pressi della Circumvesuviana, tra Volla, Casalnuovo, Pomigliano, Castello di Cisterna e Brusciano avevano messo a segno 17 rapine ai danni di 32 persone. Protagonista una baby gang fermata a inizio anno dalla Polizia. Le Forze dell’ordine puntano ora a rintracciare i membri di un’altra banda di “rapinatori in erba” di Pomigliano e di due Comuni limitrofi: Acerra e Somma Vesuviana. Negli stessi giorni un bambino di 10 anni, insieme a compagni più grandi, ha imperversato per le strade di Ostia, nella periferia Roma, terrorizzando e minacciando i passanti e, qualche giorno dopo è stata la volta di alcuni minorenni su un bus della periferia milanese.

Le tre notizie hanno toccato gli animi di tutti. Personalmente mi ha molto più colpito la risposta delle istituzioni arrivata per bocca del ministro Marco Minniti: “A Napoli verrà rafforzato il controllo dell’ordine pubblico con l’invio di reparti straordinari, 100 unità destinate al controllo di quelle zone maggiormente frequentate da giovani”.

Alle baby gang lo Stato risponde come lo si fa con un pericolo legato alla sicurezza, con le Forze dell’ordine. Con 100 Forze dell’ordine. Come nella “Terra dei fuochi” nel 2014, come a Taranto nel 2016 o a Bitonto all’inizio del 2018. Probabilmente è un numero che rassicura ma che spaventa insieme, che dà un senso di pienezza ma anche di limite. Ma che non parla, non va in profondità, non aggiunge nulla su quei bambini cresciuti all’ombra palazzoni di cemento, tra prati incolti punteggiati da siringhe e piazze assolate, collegate da strade senza lampioni.

In ogni metropoli del mondo dove ci sono baby gang c’è una società colpita da un male che ha un nome: povertà educativa. Che a sua volta ha molte dimensioni, essendo la conseguenza ultima dell’assenza di spazi di socializzazione, della mancanza di servizi di cura di tutela dell’infanzia, di un contesto sociale e abitativo deprivato. Per un bambino di Pomigliano o di Ostia, ma anche di una qualsiasi baraccopoli della periferia di Reggio Calabria o di Torino, essere povero non significa solo avere genitori che non arrivano a fine mese. Vuol dire anche vivere in un quartiere dove le relazioni sono povere, dove tutto è annientato dall’isolamento e la marginalità, dove non ci sono servizi e le opportunità educative inesistenti. A questi bambini viene impedito dalla nascita di allargare il raggio delle proprie aspirazioni, di scoprire e coltivare i propri talenti per concedersi di sognare un futuro differente dal vicino di casa che spaccia o vive di furtarelli.

La povertà educativa impatta sempre sul livello di inclusione sociale, il cui indice nel nostro Paese è drammaticamente peggiorato, retrocedendo nel 2017 dal 18° al 21° posto su scala mondiale.

Perché allora solo adesso scopriamo le baby gang? Forse perché mentre parlavamo di sicurezza poco o nulla abbiamo fatto per l’inclusione dei nostri bambini. Del resto non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso dalle scorribande degli adolescenti figli della strada, se da anni continuiamo a tagliare le spese per l’istruzione, se non miglioriamo le condizioni degli edifici scolastici indebolendo le già fragili reti territoriali che comunque creano quei legami vitali tra i bambini e le comunità educanti.

Poi ci sono le eccezioni, che fanno sperare. Si sono aperte in questi giorni, a Tor Bella Monaca, periferia simbolo della Capitale e nel cuore della Casbah di Mazara del Vallo, due “Biblioteche del Giocattolo”. Saranno presidi educativi dentro la periferia, luoghi di incontro, di scambio, di contaminazione. Lo Stato invia militari che imbracciamo kalashnikov; la società civile investe in educatori con in mano i giocattoli. Si tratta di visioni e prospettive della vita e della società profondamente diverse tra loro.

Allora cento militari sicuramente non bastano! Occorrono mille, diecimila, centomila educatori per ridare futuro a quei bambini che in Italia sono considerati dalle statistiche solo dei poveri assoluti. La punta più alta la scopriamo nel Mezzogiorno dove, nella fascia 7-13 anni, 16 bambini su 100 sono tagliati fuori da tutto. Nelle periferie delle nostre città circa 130.000 alunni abbandonano precocemente la scuola ogni anno, tra I e II ciclo, «a metterli tutti insieme – si legge sull’Atlante dell’infanzia a rischio – formano un bastimento di quasi 6000 classi alla deriva». Nel “bastimento Italia” ci siamo dentro tutti noi, e con noi il nostro futuro. Ce lo raccontano i bambini delle baby gang che rabbiosamente cercano di farsi spazio a colpi di crimine in una comunità che gli ha sottratto tutto.

Lasciandoli in assoluta solitudine. In compagnia solo di 100 giovani in mimetica, forse anch’essi figli di una periferia che non lascia scampo.

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