A casa ci andavano con l’auto di servizio. Dopo averla utilizzata per lavoro, invece di riportarla in sede, la parcheggiavano nei pressi della propria abitazione, pronti a riprenderla, il giorno successivo, per ripresentarsi in sede o in qualche altro luogo dove fosse richiesta la loro presenza. Trenta agenti della polizia provinciale di Belluno erano accusati di peculato, per un uso improprio di bene pubblico. Ma il giudice dell’udienza preliminare li ha assolti con formula ampia. Sono bastati cinque minuti di camera di consiglio, al magistrato Antonella Coniglio, per uscire con un dispositivo con cui chiudeva un capitolo giudiziario che aveva fatto rumore sulle Dolomiti, e non solo, per un supposto uso improprio di beni della collettività.

“Abbiamo fatto soltanto il nostro dovere” si sono giustificati gli agenti, che rischiavano una pena variabile dai 4 ai 10 anni. E in udienza hanno trovato quale insospettabile alleato perfino il pubblico ministero Roberta Gallego che ha chiesto l’assoluzione al termine della requisitoria nel processo con rito abbreviato.

L’inchiesta era stata coordinata dal procuratore della repubblica, Francesco Saverio Pavone, che oggi è in pensione. Nell’agosto 2016 gli indagati vennero convocati in questura per essere interrogati. Gli accertamenti avevano preso il via da alcuni esposti anonimi che denunciavano come gli agenti tenessero le auto di servizio sotto casa. Si era così scoperto che il comportamento era comune. Dagli archivi della Provincia era spuntato un un regolamento approvato nel 1993 che aveva incassato anche un parere di legittimità del Coreco, il Comitato regionale di controllo. La scelta di andare a casa con l’auto di servizio era dettata dall’esigenza di ottimizzare tempo e denaro.

Questa è stata la linea degli imputati. Parcheggiando l’auto sotto casa, in previsione di un servizio che il giorno dopo avrebbe comportato uno spostamento, si evitava di dover raggiungere la sede pubblica dove l’auto veniva lasciata e di percorrere un maggior numero di chilometri anche con l’auto di servizio. Secondo l’allora procuratore Pavone, invece, la delibera del consiglio provinciale doveve essere considerata illegittima e le guardie provinciali non avrebbero dovuto applicarla, in quanto pubblici ufficiali. Secondo il Pm Gallego, invece, non essendoci contrasto con le direttive dell’ente, non c’è peculato. Insomma, non usavano l’auto per interessi propri e quindi non si sono appropriati del bene o di una utilità. In questo è stata confortata anche da regolamenti di altre province italiane, come Cosenza e Biella, che osservano le stesse regole.

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