Non sorprendetevi, se il suo nome non compare nell’elenco delle vittime innocenti della criminalità in Campania. E’ un nome da dimenticare, per lui la memoria non vale e la verità non illumina la giustizia. Da vivo come da morto quest’uomo ha sempre attirato pregiudizi, diffidenze e dubbi. La sua è una storia dimenticata, sotterrata, rimossa. Un anniversario amaro. Sono trascorsi dieci anni da quel barbaro omicidio e nulla si sa. Un mistero che con il trascorrere del tempo si fa sempre più fitto. Gli inquirenti hanno scandagliato l’impossibile, verificato ipotesi, raccolto confidenze di collaboratori di giustizia. Ma niente. Mandanti ed esecutori di quella spedizione di morte non si conoscono. Come neppure il movente è dato sapere.

E’ il 21 marzo 2005. Via Tasso è una strada piena di curve che collega i quartieri napoletani di Vomero e Chiaia. Vi risiede la media-alta borghesia partenopea. E’ sera. Un uomo è a terra, intriso di sangue. A qualche metro di distanza c’è una donna, il volto è atterrito, non riesce a parlare. Incastrato sotto un’auto c’è lo scooter Honda SH, su cui i due viaggiavano. Forse un incindente. Un pirata della strada, li ha falciati ed è fuggito. “Sì, è stato un incidente” sussurra qualcuno. C’è un medico, ferma la sua moto e soccorre la coppia. Il corpo dell’uomo è riverso a pancia sotto. Il medico-volontario lo gira e nota dei fori. Prova un disperato massaggio cardiaco poi la respirazione bocca a bocca, non c’è nulla da fare. L’uomo muore tra le sue braccia. Non è stato un sinistro stradale ma un agguato di camorra.

Riverso in una pozza di sangue c’è il cadavere di Nunzio Giuliano, 57 anni, fuoriuscito dalla famiglia-clan che per oltre 20 anni ha imposto la propria legge criminale a Napoli, al rione Forcella. Uno storico clan che ha fondato la “Nuova Famiglia”, un aggregazione di cosche, che si contrappose – in una sanguinosa faida – al potere della “Nco” del sempre boss Raffaele Cutolo. Sono le 21 e 20, via Tasso somiglia a un campo di battaglia. A terra ci sono bossoli e sangue. C’è un silenzio irreale. Anche l’aria è ferma. E’ un omicidio clamoroso. Con estrema precisione i killer esplodono con una pistola equipaggiata di silenziatore sei colpi che centrano la schiena e la testa di Nunzio. Un’esecuzione troppo perfetta, preparata nei minimi dettagli. Senza sbavature, testimoni e pentiti. Nunzio Giuliano era il fratello maggiore e il più carismatico di una famiglia che giunta alla quarta generazione può definirsi ancora un potente clan a Napoli. Il loro regno è e resta il rione Forcella, un anfratto di viuzze che si dipanano all’ombra del Duomo.

Nunzio Giuliano non è stato mai un camorrista, a dispetto – invece – dei suoi fratelli. La sua fedina penale non era immacolata: per lo più reati commessi quando era ragazzino ma tutti con pena espiata. Anzi la giustizia – per colpa di quel cognome troppo pesante – l’ha continuato a perseguitare con provvedimenti preventivi-punitivi rivelatisi poi illegittimi. Nunzio Giuliano è il primo in assoluto – in tempi dove l’anticamorra non era uno sport interessato e diffuso – che dal di dentro del mostro ripudia quel mondo, dissociandosi.

A fortificare quella decisione già presa e attuata con lo stupore e la contrarietà dei familiari e non solo è la morte per overdose del suo primo figlio, Pio Vittorio, appena 17 anni. E’ il 10 dicembre 1987. Comincia un lungo e duro viaggio di Nunzio alla ricerca di se stesso e della sua emancipazione da una società ingiusta che ti imprigiona in un preciso ruolo: il camorrista. «Sono oltre 20 anni che sto manifestando la mia opposizione interiore alla presenza dei clan e dei boss nella nostra città, nonostante che abbia dei familiari coinvolti in questa realtà, nonostante che l’insegnamento e la scuola che mi è stata data è stata quella della illegalità, della lotta per la sopravvivenza con la violenza. Oggi vedo che questo accade ancora a migliaia di bambini napoletani, ma per loro è peggio. Quando ero bambino non c’era la droga, non c’erano gli omicidi, non c’era la camorra che conosciamo oggi, c’era solo la camorra politica. Dunque io sono nato a Forcella con tutti questi problemi, in una famiglia particolare, difficile, come difficile è stata la mia infanzia e questa è la forza che io nutro dentro, profondamente dentro di me, che mi fa ribellare alla camorra».

A muso duro combatte la camorra, parole non scontate. Addirittura un parroco – siamo a metà degli anni Novanta – lo invita a salire sull’altare e parlare ai fedeli: spiegare il vero volto della criminalità. Le sue uscite pubbliche suscitano accese polemiche. L’allora cardinale di Napoli Michele Giordano fa sentire la sua voce “scomunicando” il sacerdote. Anche i media nazionali si accorgono di quell’uomo non banale che quando parla assesta schiaffi alle coscienze e attacca quella zona grigia di insospettabili che con la camorra ci vanno a braccetto.

Molti sono stati anche gli appelli di Nunzio a giovani per tenerli lontani dalla camorra e dalla droga. Tante le testimonianze nelle scuole come quella al Liceo Mercalli di Napoli e le sue partecipazioni a convegni e manifestazioni per la legalità.

Il suo ideale testamento è raccolto nel libro Diario di una coscienza. Io Nunzio Giuliano, uscito postumo e pubblicato dall’amico editore Tullio Pironti. Nunzio scrive pagine appassionate e parla del dolore sofferto per l’uccisione di Annalisa Durante, una 14enne vittima innocente a Forcella, il 27 marzo 2004 – cioè un anno prima della sua uccisione. Invita i capi dei clan a collaborare con la giustizia e consegnarsi allo Stato. Il suo impegno è fermo e genuino nonostante qualcuno a bassa voce sussurra : “Sì, però…chissà”. E’ l’infamia che non ha mai abbandonato Nunzio Giuliano di una città che sa essere davvero camorrista nella sua cultura borghese – aristocratica.

Mi tornano in mente le parole che pronunciò Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione “La Mansarda”, al funerale di Nunzio Giuliano: «I suoi assassini lo hanno preso alle spalle perché avevano paura di confrontarsi con lui. I killer avevano paura del suo sguardo penetrante, quello sguardo che giungeva fin dentro l’animo delle persone. Un po’ come don Giuseppe Puglisi, il parroco siciliano che quando vide i suoi carnefici disse: “Vi aspettavo”». Ecco chi è Nunzio Giuliano. Sono trascorsi 10 lunghi anni e nonostante con il suo sangue innocente abbia pagato lo scotto di una vita difficile, non ha diritto alla giustizia e alla memoria. Il suo cognome continua a far paura anche a coloro – i professionisti dell’anticamorra – auto assegnatisi il potere di dispensare patenti di legalità.

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