La “nuova mafia“, l’ha definita il procuratore generale di Brescia Pier Luigi Dell’Osso, uno che se ne intende dato che a suo tempo si occupò degli intrecci fra il Banco ambrosiano di Roberto Calvi e la Banda della Magliana. La “nuova mafia”, svelata da una recente inchiesta della procura di Brescia, è un mix di evasione fiscale, fatture false, lavoro nero, riciclaggio, usura, minacce, violenze, porto abusivo d’armi. Colletti bianchi con la pistola in tasca, come racconta Andrea Tornago nella nuova sezione “Mafie” di ilfattoquotidiano.it.

Per nessuno dei 15 arrestati la Guardia di finanza, che ha condotto le indagini, ha ritenuto di avere elementi sufficienti per proporre l’accusa di associazione mafiosa (416bis), e neppure l’aggravante mafiosa da “appiccicare” agli altri reati. Ma il presunto “network criminale” capeggiato da un ex funzionario dell’Agenzia delle entrate e da un imprenditore calabrese pluripregiudicato anche per reati di droga presenta “seppur solo allo stato nascente i tratti tipici del nucleo di criminalità organizzata operativo con modalità di stampo mafioso”, scrive il gip Enrico Ceravone nell’ordine di custodia cautelare. Ecco la “nuova mafia”: meno padrini doc, più area grigia economico-politico-criminale.

Sempre nella nostra sezione “Mafie”, Fabio Abati dà conto delle informative della Guardia di Finanza che segnalano Poste Italiane (allo stato non indagata) per il reato di profitto da attività illecite dei dipendenti e per violazione delle norme antiriciclaggio, nell’ambito dell’inchiesta sulla “banca della ‘ndrangheta” scoperta a Seregno in Brianza, in un “tugurio” dove però circolava denaro variamente sporco per milioni di euro. Dipendenti di ben sei uffici postali tra le province di Monza Brianza e di Milano sono accusati di aver chiuso gli occhi e di aver agevolato versamenti di contanti alquanto sospetti (non sempre la ripulitura del denaro sporco passa per sofisticate tecniche di riciclaggio internazionale, anzi). Anche nell’inchiesta di Brescia è indagata la direttrice di uno dei più importanti uffici postali della città, insieme a un funzionario di Veneto Banca. Le complicità agli sportelli degli istituti di credito sono ormai un classico delle inchieste di mafia o “nuova mafia”.

Poi va anche detto che la “nuova mafia” prospera grazie a leggi solitamente benevole con i colletti bianchi (basta vedere che cosa è successo in Parlamento negli ultimi mesi, dalla tormentata riforma del voto di scambio alla telenovela sul nuovo reato di autoriciclaggio). Nelle conversazioni intercettate (zeppe di “pota” e “figa”, tipici intercalari bresciani, per chi ancora considerasse certe questioni strettamente calabresi, siciliane, campane…) gli indagati concordano sul fatto che il loro sistema si basa su “reati fiscali di lieve entità e comunque sostenibili in sede dibattimentale”, osserva il gip. Così come paga il trucco – diffusissimo – di far sparire le società, e i loro conti in sospeso, dopo un paio anni di attività. Uno degli indagati racconta al telefono come accoglie i nuovi clienti: “Gli dico ‘sapete che i contributi non ne vengono pagati!? Li pago in un’altra maniera…li compenso’. Però, un anno, due anni vengono a trovarti (gli accertamenti, ndr) e arrivano perché oggi a non pagare le cose ti arrivano”.

Ma la nuova mafia non è fatta solo di carte false. Con altrettanta competenza, in un’altra intercettazione due degli arrestati discettano sulle caratteristiche della pistola Beretta e convengono che armi particolarmente sofisticate non servono, tanto “considera che una persona con 5 colpi se vuoi la secchi”. Hanno appena sparato alla vetrina di una pizzeria di Palazzolo sull’Oglio, cittadina a metà strada fra le operose province lombarde di Brescia e Bergamo.

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