In questi giorni di ferragosto ho avuto il tempo per poter leggere, con la necessaria calma, quotidiani e siti di informazione. In particolare, mi hanno colpito due articoli; il primo dal titolo “Missionari e ambientalisti stoppano gli speculatori – basta fare affari sui prezzi dei beni alimentari”. Al di là del titolo, la notizia è che in Germania 4 delle principali banche hanno accettato di rinunciare ai derivati sulle materie prime agroalimentari. Il secondo dal titolo “Per le ultime ondate di calore non c’è altra spiegazione che il cambiamento climatico”: parole di James Hansen, direttore del Goddard Institute, che continua dicendo “negli studi condotti mi ero sbagliato, la situazione è più grave di quanto avessi sempre affermato”.

Nel primo caso, l’obiettivo del provvedimento descritto è quello di migliorare la produttività e la sostenibilità del sistema agricolo (va ricordato che ancora oggi si perde oltre un terzo delle produzioni agricole per inefficienze lungo la filiera), favorire lo sviluppo sociale ed economico delle comunità rurali, ripensare alle politiche commerciali e limitare l’impatto della speculazione finanziaria e della volatilità dei prezzi.

Nel secondo caso, la proposta di Hansen è ancora più semplice: aumentare le tasse alle compagnie petrolifere, da calcolare sulla base della quantità di CO2 emesso dal petrolio estratto. In questo modo si stimolerebbe l’innovazione e si creerebbero le condizioni per sostenere una diffusa e consistente economia-verde basata sull’energia pulita.

Tuttavia, queste azioni sono irrealizzabili senza una forte volontà politica, che ovviamente si scontra con i molti interessi economici in gioco, tutti per lo più a respiro sovranazionale.

Il problema non è solo la produzione, ma una distribuzione più equa e sostenibile delle risorse, quella che gli inglesi chiamano “Food security”: non si tratta di sicurezza alimentare, come la intendiamo in Italia, ovvero sicurezza da frodi o da contaminazioni, ma sicurezza di accesso al cibo per tutti. Secondo la Fao oggi il 13,4% del pianeta (quindi un miliardo di individui) è denutrito e il numero di persone denutrite cresce anche nei paesi sviluppati: 19 milioni di persone nel 2010, vale a dire il + 54% in tre anni.

Oramai è chiaro che gli eventi meteorologici estremi sono destinati ad aumentare, e questo avrà ovviamente effetti importanti sulle coltivazioni, e di conseguenza sugli stock alimentari e i prezzi, in una sorta di “spirale di Escher”.

Al di là di quello che deve fare la politica, di cui siamo, come cittadini, la fondamentale cellula base, tutti noi abbiamo un ruolo importante. Infatti effettuando scelte di acquisto consapevoli e mettendo in atto comportamenti responsabili contribuiamo a evitare che si creino spirali nocive senza fine.

Un esempio: più fa caldo più abbassiamo la temperatura dei condizionatori, i quali, a loro volta, consumano più elettricità, elettricità che è prodotta prevalentemente da fonti fossili, che a loro volta aumentano le emissioni di gas serra e quindi la temperatura media.

Certamente, uno dei cardini affinché si inneschi la necessaria discontinuità relativamente a questi fenomeni, sta nell’aumentare la nostra consapevolezza rispetto all’impatto che i differenti stili di vita hanno sul cambiamento climatico e sulla sostenibilità della catena alimentare che ne è, in parte, una diretta conseguenza.

Le nostre azioni, anche le più semplici o abituali, dalle scelte alimentari, a quelle sulla mobilità, fino alle abitudini domestiche, hanno un impatto; a noi il compito di renderle quanto più possibile sostenibili.

P.s: Dal 22 agosto la terra ha superato il Global Overshoot Day e fino a fine anno si viaggia in rosso, ma ne parleremo la prossima volta.

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