L’Italia sta per essere deferita alla Corte di Giustizia per il mancato recepimento della direttiva europea sull’efficienza energetica degli edifici. La Commissione europea ci aveva avvertiti, adesso si passa ai fatti. Giovedì la pratica arriverà all’Alta Corte, dove il fascicolo “Italy” nello schedario è ormai quello più corposo. E poi? Come al solito, sentenza, condanna e multe. A meno che ci si adegui alle normative comunitarie.

Stiamo parlando della Direttiva 2002/91/CE con la quale l’Ue cerca di migliorare l’efficienza energetica dei propri edifici eliminandone, o almeno riducendone al minimo, gli sprechi, di aumentarne la sicurezza tramite ispezioni regolari di caldaie e impianti di condizionamento e di esigere che entro il 2021 tutti i nuovi edifici costruiti siano “nearly zero-energy”, ovvero senza sprechi (o quasi). In parole povere, un sogno. Sì perché si stima che proprio gli edifici, pubblici e privati, consumino il 40% dell’energia europea totale e producano il 36% delle emissioni di anidride carbonica (Co2) in tutto il continente. Questo vuol dire che proprio gli edifici sono, in primis per il riscaldamento, la terza causa di emissioni di Co2 dopo industria e trasporti nell’Unione europea. Per questo l’efficienza sugli edifici è vista da Bruxelles come una condizione indispensabile per raggiungere l’obiettivo della riduzione del 25% di emissioni di Co2 entro il 2020. E visto che l’Ue sta fallendo la maggior parte degli obiettivi che si era prefissata con la strategia EU2020 (più per colpa delle politiche poco eco friendly degli Stati membri che di Bruxelles stessa), ecco che l’efficienza degli edifici diventa davvero un obbligo.

Ma l’Italia da questo orecchio proprio non ci sente. A causa della non completa trasposizione della direttiva, il Belpaese è stato messo sotto procedura di infrazione nel novembre 2010. Un nuovo avvertimento da parte della Commissione è giunto nel settembre del 2011. Allora l’esecutivo Ue inviò alle autorità italiane un parere motivato (secondo passaggio nella procedura di infrazione europea) lamentando lacune nella legislazione italiana in merito alla certificazione dei consumi energetici degli edifici e riguardo ai controlli periodici sugli impianti di climatizzazione e dando appunto due mesi di tempo per mettersi in regola. Ma a fine aprile siamo ancora punto e a capo. Inutile dire che al ritardo di recepimento di una direttiva comunitaria si aggiunge poi quello della concreta attuazione.

Per quanto riguarda ad esempio l’obbligo di indicare l’indice di prestazione energetica di una casa al momento della compravendita, dal 1° gennaio 2012 chi vuol vendere una casa o un qualsiasi altro fabbricato deve prima farsi fare la certificazione energetica da un tecnico abilitato da inserire poi negli annunci di vendita. Ma secondo il sito Immobiliare.it a un mese dall’entrata in vigore della normativa sulla certificazione energetica solo il 12,7% degli immobili in vendita o locazione era in possesso del certificato (obbligatorio) di prestazione energetica. Nel Nord Est parliamo di un 18,9%, al Nord Ovest del 15,6%, al Centro Italia l’8,8% e al Sud al 3,8%. Le differenze tra città sono dei crateri: al 25,6% di Bolzano fa da contraltare lo 0,9% di Palermo. Brutto l’esempio della capitale: Roma è ferma al 5,2%. E poi un occhio al portafogli. La Commissione europea nella sua comunicazione inviata alle autorità italiane lo scorso settembre aveva infatti sottolineato che “edifici efficienti sul piano dell’energia significano anche risparmi per le famiglie”. Un aspetto che in tempo di crisi non dispiace.

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