Si avvicina la 133esima procedura d’infrazione ai danni dell’Italia. Questa volta tocca alle etichette energetiche di elettrodomestici come frigoriferi e televisioni. Insufficienti le informazioni sul consumo energetico: è la seconda volta che Bruxelles avverte l’Italia. Questa vola lo ha fatto con un “parere motivato”, ovvero elencando uno per uno i punti che non vanno nel recepimento italiano della normativa sulle etichette. La prima volta lo aveva fatto con una lettera di messa in mora il 18 luglio scorso, alla quale però non è seguita risposta. Adesso mancano pochi giorno allo scadere dei due mesi concessi da Bruxelles, ma da Roma tutto tace.

Nella stessa situazione si trovano Cipro e la Romania (entrata nell’Ue solo nel 2007), ma non è certo un attenuante, almeno per Bruxelles. O si recepisce appieno la direttiva 2010/30/Ue sull’etichettatura energetica oppure l’infrazione va avanti, fino alla Corte di Giustizia, dove ormai l’Italia è al primo posto per numero di cause pendenti (leggi). Eppure basterebbe poco per mettersi in regola, ovvero adeguarsi alla lettera agli standard europei per quanto riguarda i prodotti legati all’energia, dalla loro pubblicità al loro uso negli appalti pubblici.

Parliamo delle etichette colorate (B, A, A+, ecc) applicate sopra qualsiasi prodotto che funzioni ad energia elettrica e che ne indicano appunto il consumo. Una cosa non da poco, dal momento che Bruxelles stima che proprio per i consumi domestici se ne va il 25 per cento totale dell’energia usata nell’Ue. Per questo l’Europa ha imposto standard di efficienza obbligatori che da una parte abbattono i consumi e dall’altra permettono ai consumatori di risparmiare in bolletta.

Il tutto si iscrive all’interno della ben più ampia strategia europea con la quale l’Ue si è impegnata a ridurre del 20% le emissioni di gas ad effetto serra rispetto ai livelli del 1990 e a ridurre del 20% il consumo di energia attraverso una maggiore efficienza energetica entro il 2020. In mezzo l’eterno problema del crescente fabbisogno energetico dei 27 Paesi Ue tra nucleare e gas russo. La Commissione europea stima, infatti, che i provvedimenti adottati finora alla luce della precedente direttiva 92/75/Cee sull’etichettatura energetica (riguardo a frigoriferi e congelatori, lavatrici, asciugabiancheria, lavastoviglie, illuminazione domestica, condizionatori d’aria e forni) abbiano comportato un risparmio di circa 40-50 terawatt-ore all’anno, il che corrisponde al consumo elettrico annuo del Portogallo.

Con l’approvazione della nuova direttiva 2010/30/Ce sono state già riviste le etichette per frigoriferi e congelatori, lavatrici, lavastoviglie e condizionatori d’aria ed è stata introdotta una nuova etichetta per i televisori. Ma in Italia sull’efficienza energetica qualcosa non funziona, e a ben guardare non solo per gli elettrodomestici. Lo scorso ottobre sul banco degli imputati ci siamo finiti per il rendimento energetico degli edifici. Sì perché proprio gli edifici consumano il 40 per cento dell’energia e producono il 36 per cento delle emissioni di anidride carbonica (Co2) in tutta Europa. Se poi questi edifici sono pieni di elettrodomestici spreconi, la frittata è fatta. Anche in quell’occasione Bruxelles ha scritto una lettera all’Italia, invitando il nostro governo a conformarsi al più presto alle norme europee in materia e dando due mesi di tempo per farlo. Neanche a dirlo, i due mesi sono passati e nulla è cambiato. Adesso Bruxelles scrive per gli elettrodomestici. E il tempo per adeguarsi è quasi scaduto.

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