In origine fu la mucca pazza, poi l’aviaria. Oggi è un pesticida a salire sullo scaffale degli imputati, reparto uova. Si tratta del fipronil, insetticida “sistemico” che si usa contro le zecche ma che un’azienda olandese – secondo quanto accertato dalle autorità sanitarie – ha pensato bene di miscelare a una sostanza non proibita per meglio schermare i polli da pulci e parassiti. Le uova sono finite in Francia e le lavorazioni in 15 Paesi della Ue che ora, a due mesi dalle prime segnalazioni, lanciano l’allarme e procedono ai  sequestri quando fino a ieri rassicuravano tutti sull’assenza di pericoli. E’ un altro grande scandalo alimentare? E’ un pericolo sanitario? “Sono entrambe le cose”, dice il responsabile della sicurezza alimentare di Coldiretti Rolando Manfredini, ricordando anche come un dossier sul fipronil l’Europa se l’è barcamenato a lungo dai primi anni duemila, quando i produttori d’api ne chiedevano la messa al bando.

“E’ soprattutto una storia che si ripete col consumatore, che è il terminale ultimo di tutta la filiera produttiva, lasciato solo e senza possibilità di difesa. Nel caso specifico ci può cautelarsi dall’assumere le uova contaminate guardando il Paese d’origine sull’etichetta. Per tutti i prodotti derivati e lavorati però non c’è niente di simile: o prende le uova e si fa in casa la pasta e le merendine oppure deve fidarsi. Noi consigliamo sempre di rivolgersi a un produttore della filiera corta. Ma altri consigli non so darne, perché autorità e istituzioni non fanno altre certezze”.

Manfredini si occupa di queste cose dal 1997. Laureato in Scienze Agrarie,  membro del Comitato Nazionale sulla sicurezza alimentare del Ministero della Salute, ha vissuto gli effetti devastanti degli scandali alimentari degli ultimi 20 anni: mucca pazza, diossina dei polli belgi, carne islandese etc. E non è sorpreso di quel che si legge perché “al di là della truffa, che va accertata e forse era difficile prevedere, in questa vicenda riemerge la grande debolezza della politica europea, così incline alle ragioni della grande industria e così sorda a quelle dei piccoli produttori e dei consumatori”. Una questione di sostanza e di etichetta, dice.

Perché in Europa la battaglia per avere una tracciabilità totale degli ingredienti non è mai passata. “Bruxelles l’ha vista come una sorta di attentato alla libera circolazione delle merci. Concetto che nasconde in realtà l’interesse degli industriali della trasformazione a potersi rifornire dove meglio credono e meno spendono, senza dover dare indicazioni. Tantomeno al consumatore finale”. Ed ecco servito il pasticcio perfetto: se l’uovo tossico è entrato nel circolo nei lavorati vai a sapere dove è finito.

“In realtà le autorità sanitarie europee hanno i mezzi per ricostruirlo e lo stanno facendo, come dimostrano i sequestri. Ma quello che non può farlo è chi se le deve mangiare, il cittadino” dice Manfredini che la sa lunga e con l’occhio addestrato unisce i puntini spazio-temporali. “Mi fa rabbia che queste cose succedano sempre negli stessi Paesi. Sarà un caso? Mi indigna come le autorità olandesi abbiano dichiarato in un primo momento che era stata rilevata una presenza ma che non c’erano problemi, in un secondo che il prodotto poteva essere moderatamente pericoloso e infine che quello stesso prodotto è molto pericoloso per i bambini. Insomma le informazioni centellinate, tardive, contraddittorie sembrano rese apposta per coprire delle responsabilità. Idem in Italia, dove il Ministero della Salute dice che non c’è alcuna partita alimentare contaminata e poi passa ai sequestri”.

Grazie a questi messaggi contraddittori si alimenta il panico. “Certo, la gente smette di mangiare le uova o la carne. E’ condannata a comportamenti irrazionali”. Anche la reazione dei governi sembra goffa e tardiva. “Mi fa impressione che su questa cosa siano in allerta 15 Paesi ma che venga annunciato urbi et orbi che si riuniranno per affrontare la situazione il 26 settembre: sembra una barzelletta”. C’è chi come Codacons e Verdi chiede di sequestrare tutte le uova non italiane, è una soluzione? “Se arriviamo a questo significa che l’intero sistema di rintracciabilità europeo non funziona e forse sarà inevitabile. Ma le autorità europee dovrebbero essere in grado, altrimenti si frantuma il sistema stesso con cui l’Europa, da mucca pazza in poi, ha costruito la filiera alimentare delle merci che la attraversano e la nutrono . Lo scandalo della carne di cavallo alla diossina un anno fa a dimostrato la debolezza di questo sistema, la facilità con cui entra in crisi. Adesso ci risiamo. Un puntello per rafforzarlo? Rendere pubblici tutti i dati sulle importazioni, ma chi ha paura della trasparenza”.

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