“Da questa parte del ponte, a Reggio Emilia, ci sono i cutresi Grande Aracri, di là dal ponte gli Arena di Isola Capo Rizzuto”. Ha iniziato a raccontare geografia, gerarchie, economia e storia della ‘ndrangheta su una sponda e l’altra del fiume Po Pino Giglio, considerato dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna il ‘commercialista’ della cosca legata ai Grandi Aracri di Cutro e trapiantata al nord. Il primo e unico pentito di tutto il maxi-processo Aemilia ha iniziato a parlare al dibattimento e per diverse udienze traccerà un quadro di quella che è considerata non più una infiltrazione, ma un vero e proprio radicamento criminale. Giglio, collegato in video-conferenza da un luogo riservato, ha risposto alle domande dei pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi e nelle prossime udienze sarà interrogato anche dalle difese. A dibattimento ci sono quasi 150 imputati, molti dei quali accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Altri 70 sono stati giudicati e in gran parte condannati in rito abbreviato.

Pino Giglio racconta del suo arrivo al nord nella seconda metà degli anni Novanta. Spiega come per anni abbia lavorato maggiormente nell’orbita della cosca Arena, originaria di Isola Capo Rizzuto e anch’essa trapiantata sulla via Emilia. Giglio non è un affiliato in senso stretto, ma la sua competenza finanziaria fa comodo. “Usavo delle società per comprare materiale in nero e rivenderlo in fattura. Facevo anche fatture per operazioni inesistenti ad aziende del nord. Avevo vantaggi economici e in più avevo intenzione di fare fatturati alti per poter accedere a degli affidamenti bancari e poi fare degli investimenti”.

Giglio racconta in aula di essere talmente apprezzato per il suo lavoro, che la cosca dei Grande Aracri tenta di prenderlo sotto la sua ala protettiva. Sono gli anni appena successivi alla guerra di ‘ndrangheta che ha visto contrapposte da una parte i Nicoscia, affiancati proprio dai Grande Aracri, e dall’altra gli Arena affiancati ai Megna. “Ci fu una riunione di ‘ndrangheta tra il 2007 e il 2008 a Cutro, alla quale fu invitato Pino Arena. Alla riunione – spiega Giglio in aula – c’erano Nicolino Sarcone, Franco Lamanna. Uscì fuori anche il mio nome. Sarcone chiese a Pino Arena di ‘mollarmi’, in quanto secondo lui io facevo parte di Cutro e non di Isola Capo Rizzuto. Insomma volevano che mi svincolassi da Pino Arena. La richiesta di Sarcone derivava dal fatto che, con il lavoro delle fatturazioni, facevamo gola a molti”.

Pino Arena, racconta Giglio, non lo lascia andare con la famiglia rivale, ma non passerà molto che Giglio tornerà comunque a fare affari con i Grande Aracri. È il 2009 e gli Arena sono in difficoltà: “Ci furono gli arresti dell’operazione Pandora. Da quel momento ho dato un taglio netto a quella famiglia e mi sono avvicinato a Nicolino Sarcone, ad Alfonso Diletto e a tutti gli altri”, spiega il pentito. Diletto e Sarcone ad aprile 2016 sono stati condannati in primo grado nell’ambito dell’abbreviato di Aemilia per associazione mafiosa e dai giudici sono considerati elementi di spicco della cosca. Una cosca che, secondo i giudici, fa riferimento al boss Nicolino Grande Aracri (recentemente condannato a 30 anni di carcere, ndr), ma sulla via Emilia agisce autonomamente. Giglio in aula precisa meglio le gerarchie: in alto c’è Alfonso Diletto; Nicolino Sarcone e Antonio Valerio sono dei pari grado; Franco Lamanna invece è considerato il  braccio destro di Nicolino Grande Aracri, la sua “forza di fuoco”. “Sarcone e Diletto invece gestiscono gli affari”, spiega il collaboratore di giustizia.

Ma torniamo al 2009-2010. Giglio racconta di essersi trovato in difficoltà economica. Si rivolge agli uomini del clan Grande Aracri e riceve i soldi per risolvere i suoi guai: centinaia di migliaia di euro. Da lì inizia la collaborazione con Sarcone, Diletto, Valerio e Gaetano Blasco. Una collaborazione, racconta Giglio, quasi giornaliera: arrivavano i contanti e il ‘commercialista’ della cosca li ripuliva con le fatture per operazioni che non esistevano. Le fatture – spiega il teste davanti alla corte presieduta dal giudice Francesco Maria Caruso – venivano emesse ad aziende del nord che avevano bisogno di fatturare per poter scaricare dal reddito o avevano bisogno di liquidità. “Loro pagavano con assegni. La liquidità a me la fornivano Sarcone o Blasco”.

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