Il porto di Gioia Tauro si conferma una delle porte di ingresso più importanti per la cocaina che arriva in Europa. Sedici borsoni legati tra loro da boe galleggianti. Il tutto era stato abbandonato a 16 miglia dalle coste calabresi e se non fosse intervenuta la guardia di finanza 385 chili di droga sarebbero stati recuperati dagli uomini della ‘ndrangheta.  L’operazione “Rio”, condotta dalla guardia di finanza di Reggio Calabria e dal Comando Operativo di Pratica di Mare e dei reparti Aeronavali di Vibo Valentia e Palermo, ha portato all’arresto di nove persone, tutte appartenenti all’equipaggio di una nave portacontainer proveniente dal Brasile e diretta a Gioia Tauro.

Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e della Procura di Palmi, sono riuscite a dimostrare come il trasporto dei 385 chili di cocaina è stato reso possibile grazie alla compiacenza dell’equipaggio. La sostanza stupefacente, abbandonata all’interno dei borsoni impermeabili, sarebbe stata recuperata in un secondo momento in modo tale da evitare i controlli antidroga sulla banchina del porto. Il metodo ricorda come le cosche del basso Jonio reggino una ventina di anni fa facevano arrivare la cocaina all’interno di bidoni che venivano lanciati in mare al largo di Melito Porto Salvo. Bidoni che poi venivano recuperati dai clan. Ritornando al sequestro di oggi, una volta immessa nel mercato, i 385 chili di cocaina avrebbero fruttato alla ‘ndrangheta circa 77 milioni di euro. Gli accertamenti della Guardia di Finanza adesso si concentreranno sui collegamenti tra i componenti dell’equipaggio, tutti originari dell’isola di Kiribati, e alcuni personaggi calabresi legati alle più importanti famiglie mafiose della provincia di Reggio. Gli arrestati sono stati colpiti da un provvedimento di fermo, emesso dalle due procure (guidate da Federico Cafiero De Raho e da Ottavio Sferlazza), che dovrà essere convalidato dal gip.

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