In Parlamento tra condannati, prescritti e imputati sono più di 90 quelli che siedono comodi e tranquilli.
Non si sono dimenticati di dichiarare di una sentenza per una pisciata su un cespuglio nella notte ma sono a processo o sono stati condannati per voto di scambio politico-mafioso; per abuso d’ufficio; per favoreggiamento alla camorra; per corruzione e finanziamento illecito ai partiti.
Cosette di poco conto rispetto ad una pena di 200 euro di ammenda per avere orinato nei pressi di un cespuglio.

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Stefano Rho, il professore bergamasco padre di tre figli, amato da tutti i suoi alunni e colleghi, quella pesante condanna avrebbe dovuto scriverla, metterla nero su bianco quando il 2 settembre 2013 ha compilato l’autocertificazione che ogni docente fa alla stipula di un contratto.
Il suo casellario giudiziario per uso amministrativo è nullo: quella sentenza del Giudice di Pace di Zogno compare solo in quello ad uso giudiziario.
Ma lui, a quanto pare, è un criminale per lo Stato italiano, un pericoloso soggetto tanto da essere licenziato, depennato da tutte le graduatorie e sottoposto ad un processo penale con tanto di ulteriore condanna ai servizi sociali.
Dall’altro canto il professor Rho non ha l’immunità parlamentare. Peggio per lui.

Ma non solo, il docente di filosofia, a quanto pare si è licenziato da solo. Nessuno sembra aver voluto questa triste fine. Ripercorriamo i fatti.
Undici anni fa la notte del 15 agosto, a Stefano, dopo una serata con gli amici, scappa la pipì. I bar sono chiusi. Non ci sono servizi igienici aperti. Non gli resta che fare quello che fanno tutti: pisciare su un cespuglio. I carabinieri lo fermano, gli ritirano i documenti. Circa un anno dopo viene convocato dal Giudice di Pace: ammette il fatto, non contesta nulla, accetta la sanzione ridotta al minimo: 200 euro per “atti contrari alla pubblica decenza”.

Il 2 settembre 2013, il professore, compila un’autocertificazione: in buona fede non dichiara di essere un pericoloso individuo che di notte, quando la pipì diventa impossibile da trattenere, si guarda attorno, cerca un cespuglio, apre la cerniera dei pantaloni e per qualche secondo (un minuto al massimo in genere dura questo atto) mostra a se stesso (vista l’ora) i gioielli di famiglia per pisciare.
Tre mesi dopo quell’autocertificazione, l’Ufficio scolastico provinciale di Bergamo lo informa di aver avviato un procedimento disciplinare a suo carico che si conclude con il minimo della punizione: la censura.
Stefano si cosparge il capo di cenere e continua a testa alta il suo lavoro. Ama la sua materia e la sa far amare ai ragazzi. Ne sono testimonianza i tanti ragazzi che si sono mossi in questi giorni per lui. Io stesso sono stato contattato da una sua ex studentessa.

Ma a “qualcuno” non interessa come insegna il professore: per lo Stato è un criminale. Tant’è che il primo settembre del 2015, quando non se l’aspetta, Rho riceve la notifica di un avvio di procedimento di decadimento dalle graduatorie: “Quando consideravo archiviato – mi spiega il professore – il procedimento disciplinare mi è stato notificato l’avvio di un procedimento che avrebbe portato alla decadenza dalle graduatorie. Notifica dell’Ust che citava una delibera della Corte dei Conti. Con l’accesso agli atti ho potuto verificare che la ragioneria dello Stato si è rifiutata di registrare il mio contratto contestando all’Ust il fatto che avrebbe dovuto licenziarmi a far tempo”.

Il 24 novembre 2015 viene immesso in ruolo ma in questo caso i tempi dell’amministrazione sono rapidi. Anzi rapidissimi (e chi l’ha detto che non funziona la burocrazia in Italia?).
“Quando il 26 gennaio sono tornato a scuola, al Falcone di Bergamo, dopo un periodo di malattia, ho incontrato i miei ragazzi e ho detto loro: ci vediamo dopo in classe. Non ho fatto in tempo ad incontrarli. Mi ha chiamato la dirigente e mi ha comunicato che ero stato licenziato”.
Il procedimento è firmato dalla dirigente dell’ufficio scolastico regionale, Patrizia Graziani: tiene conto che il professore, “con provvedimento del dirigente dell’ufficio scolastico di Bergamo è stato sanzionato sul piano disciplinare”; cita la delibera della Corte dei Conti che nei casi di dichiarazioni mendaci obbliga ad applicare “la decadenza dei benefici ottenuti” e sottolinea come la sanzione richiamata dalla Corte dei Conti, “escluda qualsiasi margine di apprezzamento da parte dell’amministrazione”.
Eppure la Corte dei Conti si è chiamata fuori da questa vicenda con un comunicato stampa ufficiale: “In merito a notizie diffuse da taluni organi di informazione relative all’insegnante Stefano Rho licenziato per falsa auto dichiarazione, l’ufficio stampa segnala che la Corte dei Conti non ha mai ricevuto, e quindi valutato, atti relativi al caso”.

In un Paese normale, un professore sarebbe valutato per quello che fa a scuola e visto che Rho è apprezzato da tutti sarebbe rimasto in cattedra
In un Paese civile qualcuno avrebbe soppesato l’atto “criminale” del professor Rho capendo e non avrebbe considerato un danno per lo Stato quella erronea auto dichiarazione tanto più che il suo casellario giudiziario è nullo.
In un Paese dove i cittadini non si sentono calpestati dallo Stato, il ministro dell’Istruzione interverrebbe subito per sanare una situazione che non fa onore a nessuno (ieri il Miur ha chiesto una relazione agli organi periferici in merito alla vicenda).
Per ora a difendere il professor Rho ci siamo solo noi: gli studenti, i colleghi, gli amici, quelli che pisciano su un cespuglio alle due di notte, quelli che non godono dell’immunità ma hanno un solo strumento: le petizioni online. Io l’ho firmata. Ora tocca a te.

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