Palazzo Chigi ne ha a disposizione ancora 15, dieci più del limite che ha imposto per legge a tutte le amministrazioni pubbliche. E per una di troppo, proprio quella a disposizione di Renzi, bisticcia pure con i magistrati della Corte dei Conti. Il dicastero della Difesa, del resto, ne ha in dotazione ancora 361, comprese tre Maserati volute da Ignazio La Russa che nessuno s’è sognato di acquistare, aderendo all’operazione di asta su ebay che fu tra i primi colpi ad effetto del governo. E tra i primi flop.

E’ come sparare sulla Croce Rossa, d’accordo. Ma tocca tornare sulla piaga delle auto blu, il più odiato tra i simboli del privilegio e il più difficile – a quanto pare – da estirpare. La scorsa primavera il governo aveva promesso un taglio risolutivo allo spreco, imponendo massimo cinque auto – ad uso esclusivo o non esclusivo – per ogni ministero o amministrazione centrale dello Stato con oltre 600 dipendenti. Un tetto che scende a 4 mezzi se i dipendenti sono compresi tra le 401 e le 600 unità, a 3 tra i 200 e i 400 per arrivare a una sola auto per le amministrazioni fino a 50 dipendenti.

Sembrava la svolta buona. La stretta è stata decisa ad aprile col decreto Irpef (legge n. 66/2014). “Vuol dire semplicemente che i sottosegretari andranno a piedi”, twittava Renzi. Il tempo ha però messo le ganasce alle buone intenzioni e la rottamazione delle auto pubbliche è andata avanti col freno tirato: quelle blu e grigie erano 55.286 al primo gennaio 2014, a novembre (ultimo dato disponibile) se ne contavano 4.210 in meno. Ma parte dello sforzo, per così dire, veniva poi vanificato dal concomitante acquisto di 1.276 vetture nuove di pacca, come rivelato dal Ilfattoquotidiano.it tra polemiche, interrogazioni parlamentari e funambolici tentativi di negare il paradosso di uno Stato che deve vendere e invece acquista. I numeri, alla fine, sono questi: la riduzione si ferma a quota 2.934, il saldo a 53.860 che significa ancora una ogni mille italiani. E i conti sono presto fatti: ai 95 milioni di risparmio stimato dai tagli fin qui operati ne andranno sottratti 70 milioni, quanto il valore della convenzione d’acquisto. Il beneficio reale sarà dunque di 25 milioni. Più che di tagli, visto il miliardo e passa l’anno che ancora si spende per questa voce, sarebbe più corretto parlare di limature.

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In alcuni comparti dello Stato, poi, il giro di vite non è mai cominciato. I ministeri, ad esempio, sono lontani anni luce dal limite di cinque vetture che corrisponde a 93 auto in tutto, non una di più. Nei loro parcheggi, tra possesso e noleggio, si contano oggi ben 1.153 auto blu: 814 alla Giustizia, 174 alle Politiche agricole, 33 ai Beni culturali, 16 agli Esteri, 14 alla Salute e così via. A nove mesi dal decreto che doveva asfaltarle, dunque, siamo a 1.060 di troppo.

E’ pur vero che tra gennaio e novembre, calcola il Formez, tra i ministeri se ne contano 209 di meno. E che quelle di servizio sono scese da 2.126 a 1.710 (-416). Di questo passo però, al ritmo del 15% e del 19%, serviranno altri quattro anni per centrare la riduzione prevista, proprio quanto manca alla fine della legislatura. A pensar male si potrebbe perfino dubitare che sia una coincidenza, quanto un calcolo per assicurarsi l’uscita di scena col botto: “cari italiani, noi siamo quelli che hanno rottamato le auto blu”.

Comunque sia il governo ci tiene. Infatti ha avocato a sé alcune delicate competenze in materia. Dal 31 dicembre – ad esempio – non è più il Formez, struttura tecnica esterna, a curare la comunicazione dei dati del censimento. I numeri li dà il ministero della Funzione pubblica, cioé il governo. Chi volesse sapere come vanno le rottamazioni deve passare da Palazzo Chigi. L’impresa al momento si rivela alquanto complicata: sarà la “migrazione” tra uffici, ma al vecchio numero di help desk per le amministrazioni (06.82888731) non risponde nessuno, e neppure all’indirizzo autoblu@governo.it. Non solo. Il governo ha deciso per legge di rendere annuale anziché mensile l’aggiornamento dei dati. I gufi dovranno dunque armarsi di pazienza: se i numeri non saranno esaltanti dovranno aspettare 12 mesi. Salvo che le cose vadano bene, è inteso. Perché allora sarà un fiorire di comunicati, slide e conferenze stampa.

Nel frattempo rimandi e dilazioni hanno già allargato il solco tra annunci e fatti. “Ora tutti a piedi alle riunioni”, aveva scherzato il ministro Madia il 25 settembre annunciando di aver finalmente chiuso il decreto di attuazione della legge di aprile. Forse era sano ottimismo, visto che il suo ministero ha impiegato sei mesi per approntare i quattro articoli (quattro!) che mettono nero su bianco le regole che disciplinano la progressiva riduzione delle auto blu. Ne passeranno poi altri tre prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che avverrà solo l’11 dicembre.

La gestazione del provvedimento, del resto, è stata segnata da qualche incidente di percorso. Uno ha investito direttamente la Presidenza del Consiglio, alla quale la Corte dei Conti ha mosso rilievi. Il testo del decreto attuativo si premurava di specificare (art. 2 comma 2) che in aggiunta alle cinque vetture ad uso non esclusivo alla Presidenza e ai ministri “potrà essere assegnata un’ulteriore autovettura in uso esclusivo”, lasciando così intendere che il limite fosse derogabile. Colto sul punto, Palazzo Chigi sarà costretto a chiarire che le due disposizioni vanno lette insieme a sommatoria: non ci sarà dunque una deroga ad uso del governo. La stessa sforbiciata, nel testo finale, è stata oggetto poi di una diluizione a scaglioni progressivi: le amministrazioni con 50 vetture a carico dovranno adeguarsi entro due mesi, quelle fino a 100 entro giugno, oltre questo limite a fine anno. Così, senza dare troppo nell’occhio, la poderosa riduzione è slittata al 31 dicembre 2015.

La partita, dopo nove mesi, deve ancora cominciare. Entro metà febbraio il primo blocco di amministrazioni – quelle sotto i 50 dipendenti – sarà chiamato a rispettare i nuovi tetti e liberarsi del fardello, vendendo le auto di troppo o cedendole gratuitamente alle onlus riconosciute. Che lo facciano davvero non è scontato. La sanzione per chi non si adegua infatti è limitata a un taglio del 50% delle spese ammesse per auto di servizio rispetto a quanto utilizzato nel 2013. Non ricade direttamente sulle tasche dei dirigenti, non incide sui loro premi di risultato. Il ministro Madia si dice convinta del contrario: “Adesso nessuna amministrazione può tirarsi indietro e già entro due mesi vedremo i primi risultati di rilievo destinati a diventare ancora più rilevanti nel corso del 2015”, ha detto ostentando fiducia nel deterrente. Pe sapere chi ha ragione tocca aspettare. E scrutare il parcheggio.

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