Siamo in tempi di film di Natale. Il signor Banks, membro apicale di un istituto di credito devoto al dio denaro, alla religione del capitalismo finanziario, alle tradizioni e alla conservazione, si imbatte nella gioia di vivere di Mary Poppins e scopre che due penny si possono regalare alla signora dei piccioni senza che il sistema crolli, che un buon padrone può fare la carità, restituire un sorriso e ritrovare il proprio. Con un poco di zucchero la pillola va giù, non c’è bisogno che tutto cambi.

Il piccolo Kevin McCallister, dimenticato per sbaglio dai facoltosi genitori, si risveglia da solo in una villa famigliare multipiano completamente a sua disposizione, ed esce a far compere in quel ricchissimo sobborgo di Chicago in cui nel 1990 dieci pizze costavano 123 dollari e 50. Però, superata la paura dell’estraneo, regalerà all’anziano spalatore di neve le parole sagge che lo aiuteranno a ritrovare i suoi affetti.

Ci sediamo anche noi nel calore delle nostre “poltrone per due”, ad assaporare per l’ennesima volta queste parabole edificanti, che tutti amano perché rimettono un po’ a posto le cose, ma solo un po’.

Eppure, in questi giorni, pare che stia circolando anche un film dell’orrore. Una pellicola spaventosa sfuggita alla censura delle grandi case di distribuzione.

Se n’è subito accorto il quotidiano Libero: “Il piano horror della sinistra”. Sottotitolo: “patrimoniale e cannabis per finanziare il reddito universale”. Storia di uno “scempio” che “fa tremare” gli italiani e soprattutto il “palazzo”. Si potrebbe anche dire: “fa cagare addosso i matusa e il governo” (cit.).

Ma che storia sarebbe? L’incipit lo racconta la voce narrante di Gabriel Zucman, direttore dell’Eu Tax Observatory: va dicendo che la concorrenza fiscale internazionale e l’evasione non sono leggi di natura, un prodotto diretto della globalizzazione, ma scelte politiche. Che tagliare le tasse ai ricchi non è inevitabile, anzi. Che l’effetto principale di una tassazione bassa sulle classi agiate non è il trickle-down, ossia un beneficio per il resto della popolazione, ma la crescita della disuguaglianza.

Allora Zucman propone una tassa patrimoniale europea sui miliardari, ampliabile a chi possiede almeno 100 o 10 milioni, applicata a tutti i beni senza eccezioni. Dice anche che i governi potrebbero decidere di continuare a tassare i residenti di lungo periodo che hanno accumulato ricchezza e si sono trasferiti in un paradiso fiscale.

Considerato che in Unione europea l’1% più abbiente della popolazione detiene circa il 22,5% di tutta la ricchezza, e il solo 0,1% più ricco ne possiede il 10%, la tassa concepita da Zucman applicata sull’1% più ricco della popolazione garantirebbe proventi per 150 miliardi di euro l’anno. Sarebbe cioè in grado di finanziarie, in dieci anni, interventi da 1.500 miliardi di euro, il doppio di quanto stanziato tra prestiti e sussidi dal Recovery Fund.

La sinistra rosso-verde italiana lo incontra. È da tempo che parla di “tassare i ricchi”, nello sconcerto dei più. Decide di presentare una proposta di emendamento alla legge di bilancio: una tassa patrimoniale sulla base del modello spagnolo, che garantirebbe la copertura finanziaria di tutti gli altri emendamenti redistributivi presentati. Dal 1° gennaio 2024 un’imposta ordinaria unica e progressiva sui grandi patrimoni dell’1,7 per cento per chi possiede tra i 5,4 e gli 8 milioni di euro, del 2,1% per una base imponibile fra gli 8 milioni e i 20,9 milioni di euro, del 3,5& per i patrimoni del valore di oltre 20,9 milioni di euro.

L’imposta, che si applicherebbe alla somma delle attività mobiliari e immobiliari in Italia e all’estero al netto delle passività finanziarie, coprirebbe un fondo per finanziare le politiche in materia di tutela della salute, welfare, diritti sociali, famiglia, istruzione scolastica, istruzione universitaria e post-universitaria, diritto all’abitazione e assetto urbanistico.

La vicenda comincia a essere effettivamente disturbante.

Ma la regia decide di esagerare. Gli ecosocialisti presentano un altro emendamento, anzi due. Il primo passa inosservato perché di impatto meno spettacolare: la progressiva eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente. Una misura che farebbe ottenere allo Stato 1.000 milioni di euro per il 2024 e a 3.000 milioni dal 2025.

Il secondo genera urla, svenimenti e crisi isteriche in platea: la legalizzazione e il monopolio dello Stato su coltivazione, lavorazione, introduzione, importazione e vendita della cannabis. Dice chi la vuole che sarebbe una “patrimoniale sulle mafie”, una “canapa tax” in grado di sottrarre un intero mercato all’illegalità, che secondo autorevoli studi potrebbe valere oltre 10 miliardi di fatturato annuo.

Ma perché, perché tutto questo? Perché disturbare la criminalità e i proibizionisti, che si sentono al sicuro sotto l’ala di questo governo?

Beh, sarebbe per introdurre una misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale. Si chiama Reddito di Base Universale, equivale al livello essenziale di sussistenza di un individuo e consisterebbe in un assegno di 800 euro massimi per garantire un reddito di almeno 1500 euro mensili a chi non ce l’ha.

Eccola, infine, l’apocalisse zombie. Orde di poveri che escono dalle loro catapecchie rivendicando un’esistenza libera e dignitosa! La maggioranza della popolazione, come un’immensa torma di mostri tentacolati, si appresta a intaccare le ricchezze di chi ha tutto e non dà mai nulla. Scenario spaventoso, davvero, per chi sogna ancora le campate del Ponte sullo Stretto di Messina, e dai suoi stabilimenti balneari condonati e sottratti alla collettività guarda i naufragi altrui come uno spettatore compiaciuto. L’Overlook Hotel di chi desidera dormire sonni tranquilli sotto un piumone di extraprofitti, pontificando al bancone della sala da ballo su quanto la coperta del bilancio pubblico sia troppo corta per accontentare tutti. Il profondo e sanguinoso rosso di un governo che ha disposto 17 condoni, regalato soldi alle compagnie energetiche e accarezzato dolcemente le banche, mentre tassava pannolini e assorbenti, liquidava reddito di cittadinanza e salario minimo e poneva fine al mercato tutelato per le famiglie in balia delle bollette.

Qui c’è un plot twist: il deus ex machina che i meno attenti non si aspettavano, il Presidente della Repubblica in persona, durante la cerimonia natalizia del Quirinale solleva di fronte alla più alte cariche dello Stato il tema della tassazione. Dice che, secondo il rapporto dell’Osservatorio fiscale dell’Unione europea, nel 2022 più della metà delle entrate delle imprese statunitensi risultavano contabilizzate nei paradisi fiscali, una percentuale che nel 1970 era prossima allo zero. Aggiunge che, nel 2021, 140 Stati hanno stabilito di istituire una global minum tax sulle imprese multinazionali, ma gli Stati Uniti e numerose altre nazioni tra le più ricche non hanno dato vera attuazione alla misura.

Forse quei rosso-verdi non erano poi così fuori di testa. E lo spettro della giustizia sociale e dell’uguaglianza fa paura ancora e sempre a chi si coalizza in una sacra caccia alle streghe affinché nulla cambi, a partire dai propri privilegi.

Siamo a Natale, come si diceva, ma pensiamoci: non sarà un pandoro a salvare la sanità e i servizi pubblici. Due penny non pagheranno la prima casa a una giovane famiglia, le borse di studio agli idonei privi di mezzi, l’affitto a chi è moroso in modo incolpevole. Non basteranno una governante originale, un aereo mancato, una poltrona per due, un canto di Natale, un angelo custode in attesa delle sue ali.

La beneficenza va bene a Natale, appunto, ma gli altri 364 giorni tocca tassare i ricchi, non i pannolini. E quel presunto film dell’orrore, in verità, l’ha visto in anteprima solo una commissione di sedicenti esperti, tutti fuggiti prima della fine. Nelle sale non è mai stato distribuito.

Lo avete capito ormai: i loro incubi sono i miei, i nostri sogni. Ma chi ha detto che non possano essere i sogni di tantissimi?

La Grande Ricchezza: è in corso la campagna de ilfattoquotidiano.it in collaborazione con Oxfam perché l’Ue tassi i grandi patrimoni. Qui potete aderire all’iniziativa.

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