La legge elettorale è “pronta”, ora tocca al conflitto d’interessi. Nel migliore dei mondi possibili, l’Italia sarebbe vicina a una svolta. E’ il momento di discuterne, così ha promesso Enrico Letta in diretta su La7 con Lilli Gruber qualche settimana fa: “Gli italiani aspettano da troppo tempo”. Un modo per tenere testa al ritmo di Matteo Renzi, certo. Infatti il primo a fermarlo è stato il braccio destro del segretario Pd, il ministro Graziano Delrio: “Il premier non chieda la luna”. Riproponendo una storia lunga 20 anni: a sinistra non è mai il momento per una legge sul conflitto d’interessi. Chiedete tutto a Renzi, ma non la luna. Vanno bene la legge elettorale, il Parlamento dei nominati e pure il decreto Imu-Bankitalia. Ma quella legge là, innominabile, proprio adesso non si può. Che il nuovo leader del Partito democratico sia Goldrake o Superman, fino lì non si può spingere perché il Parlamento non è ancora pronto. E soprattutto la luna vuol dire rompere il patto con Silvio Berlusconi, che è difficile non vedere come il detentore principale di molti interessi in conflitto.

Eppure per pensare a cambiare la legge Frattini che regola incompatibilità e gestione di cariche e proprietà non si dovrebbe andare fino sulla luna. Basterebbe guardare tra i disegni di legge già depositati a Montecitorio. Oppure tra gli emendamenti alla legge elettorale. Due proposte per l’ineleggibilità di chi è in conflitto di interessi, i condannati e chi ha già all’attivo due mandati le firma il Movimento 5 Stelle, una terza invece Sinistra ecologia e libertà, una quarta il Partito socialista. Nelle intenzioni anche il deputato Pd Pippo Civati avrebbe voluto presentare una richiesta di modifica simile, ma al momento della consegna qualcuno lo deve aver fermato. Il primo intervento possibile sul conflitto d’interessi, dunque, è quello all’interno della riforma elettorale in discussione alla Camera. Tra gli oltre 400 emendamenti depositati, i 4 di M5s, Sel e Psi vanno nella direzione che l’Unione Europea da tempo chiede di seguire, auspicata anche dalla relazione dei saggi di Napolitano.

Gli emendamenti all’Italicum di M5s, Sel e Psi
La prima delle due modifiche a firma Cinque Stelle, elenca tutte le cariche che non permettono la candidatura e che porterebbero ad una situazione di incompatibilità con il ruolo di parlamentare: tra questi c’è anche chi detiene “partecipazioni di controllo in società che operano in regime di autorizzazione o concessione o nel settore radio-tv ed editoria (norma che varrebbe anche per le partecipazioni detenute da coniuge, convivente e figli). In tal caso, l’interessato, entro dieci giorni dall’assunzione della carica, deve optare tra il mantenimento delle suddette partecipazioni di controllo e il mandato parlamentare”. La seconda modifica chiesta dai 5 Stelle invece prevede che non possano essere candidati “coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva per delitto non colposo” e chi è stato parlamentare per due volte.

La proposta di modifica di Sinistra ecologia e libertà invece prevede l’ineleggibilità per chi detiene partecipazioni in società “per oltre il 20 per cento, complessivamente calcolato, dall’interessato, dai suoi ascendenti e discendenti, dal coniuge, dai collaterali fino al terzo grado”. Ma c’è anche un emendamento di maggioranza, quello dei deputati del Psi peraltro eletti nelle liste del Pd. “L’elezione dei membri del Parlamento – si legge – è incompatibile con chi ha interessi ‘rilevanti’ come, ad esempio, nel caso di chi amministra imprese che siano in rapporti con amministrazioni pubbliche, o che abbiano un volume d’affari di almeno 100 milioni annui, o che operino in attività economiche regolate in base a titoli di concessione rilasciati da un’amministrazione pubblica statale, da istituzioni o enti pubblici nazionali e regionali”. Chi deciderà di votare le modifiche? Potrebbe, ancora una volta, non essere il momento giusto per spingersi fino là. Ai molti difetti dell’Italicum se ne aggiungerebbe un altro, forse il più grande. In difesa – ancora una volta – dell’intesa con il Cavaliere, pregiudicato e proprietario dei principali gruppi televisivi e editoriali.

Le occasioni mancate, da D’Alema a Bersani passando per Rutelli
“Gli italiani aspettano da troppo tempo” aveva sparigliato il capo del governo Letta nel suo contrattacco all’avanzata di Renzi. E l’attesa – degli elettori del centrosinistra nel loro piccolo e del resto del Paese in generale – è ormai da guinness e le occasioni perse non si contano più. Il simbolo resta – ancora oggi – il “celebre” intervento alla Camera dell’allora capogruppo Ds Luciano Violante proprio durante la discussione della legge Frattini: “Onorevole Anedda – disse Violante riferendosi a un deputato di An – la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli e stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo (da Berlusconi a Dini, nel 1995, ndr) – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta” (nel senso dello zio). E ancora: “Voi ci avete accusato, nonostante non avessimo fatto la legge sul conflitto di interessi e dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni”.

Nel 1994 a guidare l’allora Pds c’era Massimo D’Alema che successivamente ha dato più volta la sua versione, non rinunciando neanche a qualche mea culpa. Lo stesso “Lìder Massimo” ancora nel 2006 (a ridosso delle elezioni poi vinte da Romano Prodi) assicurava: “La legge la faremo”. Ma nei suoi due anni di vita il governo dell’Unione riuscì a litigare su tutto tranne che sul conflitto d’interessi: perché non ne parlò mai. Non era il momento. Non è mai il momento: nel 2001 – con i governi di centrosinistra in fase terminale – Francesco Rutelli riuscì a dire che un intervento sarebbe stato “inopportuno”. Mancavano pochi mesi alle Politiche (che Rutelli perse). Certo, regolare finalmente e seriamente i conflitti d’interessi sarebbe anche parte del programma dello stesso Pd, anche se si parla del pd che ora è diventato minoritario, quello di Pierluigi Bersaniricordate gli 8 punti proposti (anche) ai Cinque Stelle per far nascere un governo “di cambiamento”? Ecco, tra quelli c’era anche lo stop al conflitto d’interessi. Ma ora, dopo neanche un anno, chiedere una legge che sia in linea con gli standard internazionali è uguale a chiedere la luna. 

D’Incà: “Letta ci stupisca, faccia il nostro testo”
Tuttavia se Letta (nipote) questa volta facesse sul serio, non ci sarebbe nemmeno da pensare a un testo base di discussione. “Se dice davvero – ha detto il capogruppo 5 Stelle a Montecitorio Federico D’Incà – noi lo appoggiamo. Ci stupisca. Faccia suo il nostro testo”. La luna di cui parla Graziano Delrio è una legge sul conflitto di interessi, vera, che l’Italia non ha. A regolarlo fino ad oggi è stata infatti la legge Frattini del luglio 2004, criticata da più parti. La bollò come inadeguata il Consiglio d’Europa con la commissione Venezia che nel 2005 chiese all’Italia di intervenire per migliorarla. Nessuno da allora ci ha messo mano. Tra i punti criticati: la mancanza di una sanzione effettiva; la necessità di una “probatio diabolica”, ovvero della sussistenza del conflitto di interessi per cui l’accusato diventa tale solo nel momento in cui si dimostra l’incidenza nel patrimonio del singolo e nell’interesse pubblico; la legge non considera la mera proprietà come motivo di conflitto d’interesse; le imprese che traggono vantaggio dall’atto, rischiano solo pene pecuniarie, mentre chi è in conflitto d’interessi rischia al massimo un richiamo ai presidenti di Camera e Senato. 

Il disegno di legge di Fraccaro
A Montecitorio il primo disegno di legge depositato nella nuova legislatura è quello del Movimento 5 Stelle. “E’ un testo molto importante – commenta il primo firmatario Riccardo Fraccaro – perché cambia definitivamente una situazione che secondo noi è molto più che anormale. Per la prima volta si prevedono sanzioni certe ex ante e non solo successivamente; l’incompatibilità viene estesa non solo alle cariche governative e parlamentari, ma anche a quelle regionali e comunali; si introducono incompatibilità successive, ovvero non sarà più possibile passare per esempio dal ruolo di ministro a quello di titolare di una società che si occupava dello stesso ambito. I 5 Stelle chiedono che si parta dall’assunzione che il conflitto si verifica quando interessi personali si “pongano in contrasto anche solo potenziale” con l’esercizio delle funzioni governative”. Date queste premesse, il disegno di legge a prima firma Fraccaro, si propone la totale abrogazione della legge del luglio 2004 e “la predisposizione di un meccanismo costruito in chiave preventiva”. Altra novità riguarda il tipo di sanzioni: queste sono di tipo “pecuniario”, anche per il titolare della carica, e per la prima volta reputazionale, cioè si richiede che gli organi di stampa e televisivi diano notizia della violazione. Inoltre secondo quanto stabilito dal disegno di legge, all’articolo 5, possono dare luogo al conflitto di interessi anche la mera proprietà o il possesso di ingenti patrimoni. In quest’ultimo caso, si stabilisce che si debba procedere ad una cessione intera ad una società fiduciaria. Viene chiesta poi come extrema ratio la decadenza: se l’Antitrust rileva un conflitto viene richiesto di rimuoverlo, ma nel caso non venga fatto il politico decade dalla carica. Infine si chiede una maggiore indipendenza e un potenziamento del ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato alla quale vengono dati “penetranti poteri di vigilanza e controllo” e alla Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche.

Il disegno di legge di Civati
Se Letta non volesse spingersi fino a considerare una legge del Movimento 5 Stelle, ad aspettarlo a Montecitorio c’è anche il ddl a prima firma Pippo Civati, depositato il 13 novembre scorso. L’impostazione è simile a quella del testo del M5s, ma non si prevede la decadenza. Anche in questo caso si punta essenzialmente sulla prevenzione dei conflitti di interesse, criticando l’idea di intervenire solo con sanzioni successive: “La normativa – si legge – deve avere come scopo quello di mantenere la fiducia nelle istituzioni e per farlo, è necessario un intervento prima che si compia l’irregolarità”. Partendo quindi dalle sanzioni: “Il modello preso ad esempio è quello statunitense e la prevenzione è realizzata con un sistema di “incompatibilità concreta e controllata”, secondo il criterio del minimo mezzo (ovvero ottenere il risultato voluto nell’interesse pubblico, imponendo il minor sacrificio possibile al portatore di interessi). L’intervento anche in questo caso spetta all’Autorità competente che deve applicare le misure strettamente necessarie alla prevenzione. A differenza della proposta a 5 Stelle, in questo caso si precisa che ci si riferisce a conflitti d’interessi di titolari di “cariche politiche nazionali: ovvero i parlamentari e i membri del governo”, tralasciando le questioni regionali e locali. Anche in questo caso si considera la “mera proprietà” come motivo di contestazione della posizione. Nel caso l’Autorità rilevi il conflitto, si impone l’obbligo di “astensione” del parlamentare. E, si specifica all’articolo 7, se questo non risulta sufficiente, si procede con la separazione degli interessi, con “la costituzione di un trust cieco o l’alienazione”. E un tale intervento si giustifica nel caso in cui il titolare “ha la proprietà, il possesso, la disponibilità di rilevanti partecipazioni  in imprese del settore difesa, energia, credito, risparmio, opere pubbliche ecc”. Sembra la luna, ma è già tutto pronto in Parlamento, dagli emendamenti fino ai disegni di legge. In attesa che qualcuno decida di votarli.

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