“Sto qui dalle 7 di ieri sera -­ racconta la ragazza riccia, gli occhi gonfi di sonno, nella sala d’aspetto -­ l’ambulanza ci ha messo 40 minuti ad arrivare, con mio marito che stava male. La cosa peggiore è che dalla mezzanotte di ieri non so nulla di lui. E’ arrivato in codice rosso e nessuno mi dà sue notizie”. Sono le 9.20 del mattino quando Alessandro Di Battista, parlamentare del Movimento 5 Stelle, e Davide Barillari, responsabile Sanità M5S alla Regione Lazio, mettono piede nel pronto soccorso del San Filippo Neri. I problemi sono noti, al San Filippo come altrove: pochi medici e infermieri oberati di lavoro, persone in barella nei corridoi in attesa di un letto, ambulanze ferme senza poter ripartire prima che vengano liberate le barelle. Gli stessi problemi in fotocopia, nei 25 ospedali del Lazio in cui i consiglieri regionali del M5S sono entrati per una serie di visite ispettive a sorpresa.

Sette gruppi formati da un consigliere regionale, un parlamentare, un consigliere comunale e un esperto legale, hanno girato tra i pronto soccorso laziali da Viterbo a Formia per parlare con medici e pazienti e portare alla luce le criticità. “Il piano voluto da Nicola Zingaretti (presidente della Regione Lazio, ndr) per decongestionare i pronto soccorso non funziona ­- spiega Barillari ­- il problema non si risolve con provvedimenti spot”. Il “black wednesday“, come lo chiamano i medici, è solo un ricordo della settimana passata, quando un afflusso anomalo di persone si riversò negli ospedali della Capitale bloccando per ore i pronto soccorso. L’emergenza è passata, ma i problemi sono cronici. “Mio marito è stato accettato subito ­- racconta al San Filippo Neri una signora bionda ­- ma sono qui ad aspettare perché dopo ore ancora non è stato trasferito al reparto”. Per trovare un letto servono ore.

“I posti sono pochi: erano 780 nel 2000, oggi sono meno di 500”, spiega alla delegazione M5S il direttore sanitario, Patrizia Magrini. Eppure i nove punti del piano voluto da Zingaretti avrebbero dovuto decongestionare i pronto soccorso: “Sono utili, ma non bastano ­- continua il direttore -­ prenda ad esempio la discharge room, l’ambiente in cui dovrebbero essere sistemati i pazienti dimessi, in attesa che possano andare a casa: servono locali che non ci sono e soprattutto serve personale che si prenda cura di loro, perché finché il paziente non va via è sotto la responsabilità dell’ospedale”. Medici e infermieri, la carenza è cronica ovunque.

Al pronto soccorso del Policlinico Umberto I ogni 10 malati in sala rossa ci sono solo due infermieri: il rapporto dovrebbe essere di uno a due, servirebbero 10­12 unità sulle 24 ore. La giornata tranquilla, ma trovare un letto è difficile: dal primo all’8 gennaio, dati della Centrale operativa del 118 alla mano, dei 341 pazienti arrivati ben 206 sono rimasti in barella per più di mezz’ora, per un totale di 170 ore di blocco degli accessi. Il problema è comune: al pronto soccorso del Pertini, che ha un bacino d’utenza di 300mila romani e 350 posti letto, ci sono nove ambulanze ferme. Non possono ripartire e rispondere ad altre emergenze perché aspettano che tornino le barelle, occupate dai pazienti in attesa di posto in reparto. Nella sala emergenze stazionano circa 30 persone, in altre due sale ce ne sono altre 20 in attesa di ricovero. “Comprate nuove barelle”, suggerisce Barillari a Francesco Rocco Pugliese, responsabile del pronto soccorso, 75mila accessi l’anno.

“Non basterebbe ­- risponde il primario -­ non abbiamo personale e spazi per gestirle: all’organico mancano almeno sei o sette medici e 10 infermieri”. Le ispezioni del M5S continuano a tamburo battente per tutta la giornata. Minuto per minuto consiglieri e parlamentari fanno i loro resoconti in diretta su facebook e twitter all’hashtag #m5soccorso. La fotografia della sanità laziale che ne emerge è impietosa. Alle 13 al Policlinico Casilino ci sono 18 pazienti su sedie o in barella in attesa di ricovero alle 9.30 del mattino: uno era parcheggiato lì da 3 giorni, tre persone da due giorni, 12 da ieri. “Si tratta spesso di anziani, con più di una patologia, costretti a dormire in corridoio, senza una famiglia che possa pagare per un ricovero privato”, racconta il deputato Massimo Baroni.

Conferme arrivano anche dalle istituzioni. Secondo la Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione Lazio, a ottobre circa 8mila ambulanze sono rimaste bloccate per oltre mezz’ora nei pronto soccorso di Roma e provincia. Al Pertini ben 806 corse sono state fermate, in media, per un’ora e venti. Al Sant’Andrea il 65% attende in media 168 minuti; al Policlinico Casilino si ferma il 72% delle vetture per una media di 90′. Quasi la metà delle ambulanze viene bloccato invece al San Camillo Forlanini, in media per circa un’ora.

A Ostia il problema è la struttura: “Sala d’attesa molto piccola e con pochi posti a sedere. Alcune sedie sono inutilizzabili. Bagno dei disabili non a norma mancando di maniglioni per i portatori di handicap. Letti insufficienti, mancanza di separazione della sala d’attesa interna fra uomini e donne e ore d’attesa”, recita un post su facebook del gruppo guidato dal consigliere regionale, Silvana Denicolò. “Quello che abbiamo visto rivela il dato di un vero e proprio abbandono sociale, avvenuto negli ultimi anni. Anni in cui il pubblico è stato sabotato, per dirottare pazienti e investimenti sul privato”, chiosa Baroni. “I problemi sono noti da anni, perché nessuno prova a risolverli?”, domandava in mattinata Di Battista ad un medico che da più di 30 anni lavora al Policlinico.

“Hai presente quelle pizzerie o quelle gelaterie che in realtà sono coperture per spacciare droga? ­- risponde il medico ­- ecco, il sistema sanitario italiano è la stessa cosa. Una volta venivano curati i cittadini e poi c’erano anche i pezzi grossi che rubavano. Oggi invece è un sistema dove i pezzi grossi rubano e, di tanto in tanto, vengono curati i malati”.

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