Da qualche parte nell’Arcipelago Toscano giaciono ancora a più di 600 metri di profondità 71 dei 198 fusti tossici persi dalla portacontainer Venezia della Grimaldi Lines il 17 dicembre del 2011. La cattiva notizia è che quei bidoni probabilmente rimarranno in fondo al mareTroppo difficile se non impossibile trovarli ora, a profondità marine che scendono in picchiata e raggiungono fondali anche a 900 o 1000 metri, è come cercare un ago in un pagliaio spiegano dalla Capitaneria di porto di Livorno. Di fatto le ricerche si sono interrotte e come fanno sapere dal ministero dell’Ambiente non c’è strumentazione che permetta di trovarli a quelle profondità. Per ritrovare i bidoni è stata utilizzato anche un robot Rov (realizzato in Italia) in grado di individuare la presenza di sacchetti o fusti tossici in un abisso profondo 430 metri ed è la prima volta al mondo che si tenta un recupero di carico a una profondità così elevata. Ad oggi l’unica possibilità concreta di ripescarli è affidata alla sorte: si può sperare che quel che resta del carico perso dal cargo Venezia resti impigliato nelle reti di qualche peschereccio. La buona notizia, chiamiamola così, è che le analisi sulla qualità dell’acqua e sul pescato (che fino ad oggi non hanno dato risultati allarmanti) proseguiranno a carico dell’armatore fino al 2015.

L’incidente: 16 dicembre 2011
Ma per capire meglio questa vicenda è necessario tornare alla notte del 16 dicembre 2011. L’Eurocargo Venezia della compagnia Grimaldi Lines salpa da Catania, destinazione Genova. Trasporta un carico di 226 bidoni provenienti dal polo petrolchimico di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa. Ogni bidone contiene sacchi di plastica neri, all’interno di ciascun sacco ci sono circa 170 chili di catalizzatori Co/Mo. Questi catalizzatori, che contengono metalli pesanti (nichel-molibdeno), vengono adoperati nella fase di raffinazione del petrolio: l’idrodesulfirizzazione. Una volta arrivati a Genova verranno “ripuliti” per essere poi utilizzati nuovamente. Si tratta di materiale infiammabile, tossico e forse proprio per questo motivo il capitano del Venezia, Pietro Colotto, decide di posizionare il carico di bidoni in due semirimorchiatori in coperta e non nella stiva del cargo.

C’è tempesta quella notte nel mar Tirreno. Era stata annunciata. Quando il cargo Venezia arriva al largo di Gorgona, alle prime ore del 17 dicembre, deve fronteggiare onde alte 10 metri e raffiche di vento fino a 127 chilometri orari. La grande libecciata si abbatte con tutta la sua forza sulla nave che sta attraversando il tratto di mare che si trova all’interno del Santuario dei Cetacei, istituito dopo un accordo tra Italia, Francia e Principato di Monaco. A causa della tempesta le catene con cui era fissato il carico si spezzano e 198 dei 226 bidoni finiscono in mare, tra Gorgona e il banco di Santa Lucia, area caratterizzata da una profondità variabile: da 120 a 600 metri. Alle 7.20 del 17 dicembre la Capitaneria di porto di Livorno riceve la prima chiamata dal cargo Venezia che informa di aver perso il carico tossico. “Dalla Capitaneria è stato diramato un avviso urgente a tutti i naviganti tramite la radio costiera, con messaggi ripetuti ogni 30 minuti” spiega l’ammiraglio Arturo Faraone, direttore marittimo della Toscana e comandante della Capitaneria di Livorno.

I ritardi nelle comunicazioni e nelle ricerche
I cittadini livornesi verranno a conoscenza di questo grave incidente avvenuto a meno di 20 miglia dalla costa solo 11 giorni dopo il fatto e quasi per caso: è la redazione di Cecina del Tirreno che “intercetta” alcune circolari dei Comuni della zona. Questo nono
stante i fax inviati il giorno dell’accaduto (il 17 dicembre) dalla Capitaneria al Comune di Livorno e alle istituzioni regionali e nazionali. Sempre la Guardia Costiera invia una diffida all’armatore del Venezia, impegnando la Grimaldi Lines all’individuazione e al recupero dei fusti finiti in mare. Per recuperare i bidoni, tra ritardi e ulteriori diffide a Grimaldi, vengono utilizzate due imbarcazioni attrezzate con sonar ed ecoscandagli, la Minerva 1 e la Sentinel, e robot che sono gioielli della tecnologia. La cifra spesa da Grimaldi per le operazioni di individuazione e recupero dei fusti è di circa 6 milioni di euro.

L’inchiesta della Procura e la petizione dei cittadini
Saranno recuperati 127 fusti su 198 e sul caso viene aperta un’inchiesta dalla procura di Livorno per danno ambientale (intorno alla quale vige il massimo riserbo) che è tuttora in corso. 
Un risultato che nonostante gli sforzi compiuti lascia l’amaro in bocca ai livornesi e in molti sperano che l’attenzione sui bidoni mai ritrovati non si spenga, che il monitoraggio dell’acqua prosegua così come è stato promesso. E se oggi il Comune di Livorno ha capito quanto la comunicazione diretta con i suoi cittadini sia fondamentale, tanto da creare uno sportello online interamente dedicato alla diffusione di tutti i dati riguardanti il monitoraggio delle acque e del pescato, è anche grazie alle 4mila firme raccolte dal comitato “Togliete quei bidoni”. “Non è giusto che il mare sia un ricettacolo di immondizia. L’Arcipelago Toscano è un parco marino, ci sono balene e delfini. Sarebbe opportuno che i cargo girassero un po’ più al largo” auspica Fabio Canaccini che insieme al giornalista Francesco Gazzetti, al presidente dell’Arci Marco Solimano, Luca Papini e al presidente onorario dell’Anpi Garibaldo Benifei (101 anni) hanno avuto l’idea di sensibilizzare le istituzioni attraverso la raccolta firme e la creazione del comitato. “Siamo una rappresentanza della cittadinanza attiva – spiega Solimano – abbiamo raggiunto un obiettivo importante: i controlli sulla salute delle acque marine continueranno per altri tre anni. Il mare è una ricchezza, un bene inalienabile. Molti pescatori informalmente ci hanno raccontato di pescare un po’ di tutto. Ci auguriamo che da questa storia possano nascere regole sulla sicurezza ancora più stringenti per le società armatrici”.

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